Decreto Rilancio
in parte mancato

Anche da noi, come in molti altri Paesi, il blocco di una serie di attività economiche per motivi sanitari ha posto i governi di fronte all’esigenza di un intervento straordinario di spesa al fine di provvedere almeno in parte alle necessità di chi ha visto improvvisamente venir meno le proprie abituali fonti di reddito e ad assicurare la necessaria liquidità alle imprese coinvolte in vista di una loro auspicabile riapertura. Sia il decreto dello scorso marzo, sia quello recentemente approvato, contengono misure del tutto condivisibili rispetto ai due obiettivi sopra richiamati. Dato però che il decreto Rilancio si compone di 266 articoli contenuti in 323 pagine, sorge legittimo il sospetto che, anche approfittando della sospensione dei vincoli sul deficit di bilancio previsti nei trattati europei, si sia concretizzato quello che in occasione di ogni legge finanziaria, anche in tempi normali, viene solitamente etichettato come un «assalto alla diligenza».

I segnali non mancano. Secondo una ricerca in corso presso Nomisma durante il lockdown oltre il 60% degli italiani non ha perso reddito e ha speso meno del solito con un risparmio complessivo dell’ordine di una ventina di miliardi. Se questo è vero, allora normale buon senso vorrebbe che gli interventi di sostegno all’economia fossero da un lato selettivi e indirizzati a chi è veramente in difficoltà, e dall’altro tendenti a individuare misure atte a incoraggiare le famiglie a tornare a consumare. Ebbene, non si può dire che tutti gli interventi previsti rispettino questo duplice criterio.

Un paio di esempi fra i tanti possibili possono aiutare a giustificare tale affermazione. Se la proposta di un contributo alle piccole imprese calcolato come percentuale della diminuzione del loro fatturato di questo aprile rispetto a quello di aprile dello scorso anno va nella giusta direzione, così non si può dire del taglio dell’Irap per tutte le imprese, senza alcuna distinzione, fino a 250 milioni di ricavi. Perché, infatti, agevolare anche imprese che non ne avrebbero avuto alcun bisogno, comprese quelle che non hanno subito un solo giorno di chiusura?

Quanto poi al tentativo di rilanciare la spesa delle famiglie, spiccano per la loro estemporaneità due misure ampiamente pubblicizzate anche nei giorni precedenti l’approvazione del decreto: il bonus al 110% per interventi di risparmio energetico in edilizia e il cosiddetto bonus vacanze.

In merito al primo, appare a prima vista veramente singolare che, in un Paese dove le minuziose regole in tema di appalti pubblici finiscono per creare più problemi che altro, si approvi per decreto che lo Stato paghi sia pur indirettamente lavori di ristrutturazione il 10% in più del loro costo effettivo, sul quale sarà oltretutto praticamente impossibile esercitare qualsiasi controllo di congruità. E senza contare che il meccanismo dello sconto sul corrispettivo, o sconto in fattura che dir si voglia, si presta ai più spericolati esercizi di italica furbizia. Ma soprattutto, un incentivo del genere si giustifica in quanto tendente a favorire la realizzazione di opere che, oltre ad essere nell’interesse del proprietario, portano anche a un risultato ritenuto socialmente utile, quale il risparmio energetico.

Tutto questo ha però senso se i proprietari partecipano in qualche misura alla spesa, altrimenti si finisce nel paradosso che mentre non si riesce a riqualificare l’edilizia pubblica residenziale, scolastica, sanitaria, ecc., si va a riqualificare quella privata senza alcun onere a carico dei proprietari, e francamente sfugge il senso della cosa. Senza contare che per fare spendere ora, lo Stato ipoteca entrate future sotto forma di minori introiti fiscali nei prossimi cinque anni.

Quanto poi al bonus vacanze, a parte gli importi sinceramente esigui, da 150 euro per i single fino a un massimo di 500 per una famiglia di tre o più persone che basterebbero al massimo per una vacanza di due o tre giorni sul lago d’Iseo, anche solo la complessità dei controlli necessari avrebbe dovuto sconsigliarne l’adozione. Ma soprattutto, se veramente si vuole sostenere il turismo, che è innegabilmente il settore che più ha sofferto e continuerà a soffrire nei prossimi mesi per l’attuale situazione, occorrerebbe piuttosto, oltre al sostegno al reddito di chi ha perso un regolare lavoro, dettare regole e previsioni per quanto possibile certe circa la possibilità di spostamento interregionale, la riattivazione dei collegamenti aerei e navali, la necessità di eventuali controlli sanitari, ecc. Dopo di che, quei due terzi di italiani che non hanno perso reddito, e che anzi hanno dovuto in questi ultimi mesi forzatamente risparmiare, non vedrebbe l’ora di ripartire per le vacanze, senza bisogno di alcun bonus.

Per concludere, certo è che parte delle risorse impegnate con questo decreto avrebbero potuto essere meglio indirizzate pensando anche alla fase successiva, prevedibilmente caratterizzata da un’attività economica che sicuramente procederà per molti mesi ancora a scartamento ridotto. In questi giorni l’attenzione è concentrata su quanto ci possiamo attendere da aiuti europei sotto forma di prestiti a bassi tassi di interesse e possibili contributi a fondo perduto tutti da verificare, ma contemporaneamente anche sul fatto che si dovrà iniziare a pensare a forme di sostegno dei redditi delle famiglie prolungate nel tempo, quali una cassa integrazione uguale per tutti accompagnata ad una qualche forma di «reddito universale». Ma qualcuno ne sta verificando seriamente la reciproca compatibilità?

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