Denatalità, lo sguardo sui prossimi vent’anni

ITALIA. Pochi giorni fa l’Istat ha aggiornato al 2023 gli indicatori demografici per il nostro Paese. Anche questo giornale ha dedicato ampio spazio al rapporto dell’Istituto con un focus sulla nostra Provincia.

Tanti i numeri degni di nota ma la cosa più significativa è rappresentata dal confronto con vent’anni fa, praticamente una generazione. Proviamo a riflettere su alcuni dei principali cambiamenti e sulle conseguenze per i prossimi vent’anni. Le tendenze demografiche, infatti, sono una sorta di scienza esatta almeno nel medio periodo e guidano i passaggi generazionali.

In primo luogo, a livello nazionale la popolazione, che scende di poco nel 2023 rispetto all’anno precedente, è sostanzialmente stabile rispetto a venti anni fa. Occorre ricordare, tuttavia, che in venti anni la Francia è cresciuta da 63 a 68 milioni, la Germania da 82 a 84, la Spagna da 43 a 48, il Regno Unito da 60 a 68. L’Italia è oggi a 59 milioni e nel 2004 era appena sotto. In altri termini, siamo diventati relativamente più piccoli nel panorama europeo.

Le conseguenze sono enormi già sul piano economico perché la nostra crescita non può contare sulla componente demografica. Anzi negli ultimi dieci anni, la popolazione si sta addirittura riducendo. Ne consegue che, anche se il Pil pro capite cresce (e per l’Italia la performance degli ultimi anni è positiva e seconda solo a quella degli Stati Uniti), non cresce il Pil complessivo; quello, per intenderci, che serve a pagare il debito pubblico e a sostenere il welfare. Sembra paradossale ma, con questo trend, quella che definiamo sostanziale stagnazione dell’economia, ovvero Pil che resta stazionario o varia di poco, rischia di essere già un buon risultato per il nostro Paese. Non lo è, purtroppo, per le nostre finanze pubbliche.

In secondo luogo, il numero di nati ha raggiunto il minimo storico, fermandosi a 379mila. Venti anni fa si viaggiava oltre le 600mila unità. I nati di allora sono oggi nel mondo del lavoro e all’Università. I nati di oggi, un terzo di meno, vi entreranno tra venti anni con tutte le conseguenze del caso (si veda il recentissimo rapporto Mediobanca sull’Università). Qui viene in soccorso l’immigrazione, anche se prevalentemente adulta, che ha compensato, anche lo scorso anno, la differenza tra nascite e decessi. Non c’è Governo che tenga: il trend è difficilmente arrestabile o meglio, gli effetti di un’eventuale inversione si vedranno tra vent’anni. Per questo motivo la questione è come gestire un fatto sostanzialmente inevitabile. Va inoltre detto che gli effetti si vedono maggiormente sulle fasce di età più giovani. All’interno del quasi 25% di popolazione con più di 65 anni si trovano infatti pochi immigrati. Più sforzi per programmi di accoglienza e inserimento sono quanto mai necessari se vogliamo prevenire alcune derive già evidenti in altri Paesi europei, Francia in testa.

In terzo e ultimo luogo, se l’attenzione viene riposta sulle diverse parti d’Italia, preoccupa il Sud che presenta il calo demografico maggiore, a differenza del Nord che, seppur di poco, continua a incrementare i suoi abitanti, con il Centro in posizione intermedia. La nostra provincia ancor meglio rappresenta il settentrione. In venti anni siamo numericamente cresciuti dell’11%, meglio della Lombardia (9,2%) e di Milano (10,9% il capoluogo, 10,4% la provincia). È un fatto positivo che porta con sé anche il maggior bisogno di infrastrutture e servizi. Basti pensare, giusto per fare un esempio, che, oltre alla popolazione, il parco circolante di autovetture è cresciuto più che proporzionalmente e ciò si riversa sulla mobilità, generando il ben noto deficit infrastrutturale.

In sintesi, possiamo dire che questi numeri ogni anno ci trasmettono un forte segnale per il futuro e non vanno visti come fatto di pura cronaca bensì come base per le «politiche». Dobbiamo usare il plurale perché esse attengono la finanza pubblica, la formazione, l’industria, la sanità, i servizi alla persona e tanto altro ancora. È bene che le differenti forze politiche si dividano sulle ricette; auguriamoci però che trovino un punto di partenza comune: i numeri di oggi portano con sé quelli dei prossimi venti anni. Non illudiamoci e mettiamoci al lavoro di conseguenza.

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