Dossieraggio e ricatti, la chiarezza è un dovere

IL COMMENTO. In questi giorni circola una battuta riguardo al «caso Striano»: se non sei finito nella lista finora nota (ma non esaurita) dei 121 nomi sotto osservazione del finanziere e degli altri indagati, non sei nessuno. Nell’elenco delle persone spiate infatti compaiono nomi di politici, imprenditori e gente di spettacolo molto noti.

Sulla vicenda c’è un’inchiesta della Procura di Perugia, che ha spiccato avvisi di garanzia per 16 persone, accusate di avere avuto accesso a informazioni riservate della lunga fila di personaggi. Tra l‘altro la lista è aggiornata per difetto perché il principale indagato pare abbia avuto il tempo di cancellare dal suo smartphone molti altri nomi «scottanti». I due principali accusati sono appunto un tenente della Guardia di Finanza, Pasquale Striano, e il magistrato Antonio Laudati: entrambi sono stati in servizio per anni alla Direzione nazionale antimafia. Secondo l’accusa, Striano e Laudati avrebbero sfruttato le banche dati della Dna per ottenere notizie riservate e informazioni su centinaia di persone, soprattutto politici. Pare che Striano passasse anche informazioni a tre giornalisti di un quotidiano. L’inchiesta, partita da un esposto del ministro della Difesa Crosetto, dopo la pubblicazione di un articolo che rivelava alcune sue consulenze a partecipate pubbliche, era già nota da sette mesi, ma negli ultimi giorni il «caso Striano» è esploso perché sono spuntati nuovi dettagli sui meccanismi di accesso alle banche dati.

Ma la particolarità è che in questa vicenda molte cose non sono per nulla chiare. E quando le cose non sono chiare, financo i dettagli, allora diventano inquietanti. Si parla di «dossieraggio», ovvero di informazioni utilizzate a fini ricattatori o infamanti, con 800 accessi al sistema informatico. Di mezzo non ci sono soldi, perché nessuno degli indagati è accusato di corruzione.

Striano lavorava all’ufficio che si occupa delle cosiddette «Sos», le segnalazioni di operazione sospetta: sono le segnalazioni che le banche sono tenute a fare alla Banca d’Italia quando notano movimenti sospetti sui conti correnti, in modo da prevenire riciclaggio o altre attività criminali. Ma i due principali accusati potevano entrare in molte altre banche dati. A cosa serviva quella mole di dati? Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche i due non possono aver fatto tutto da soli. Dietro ci sarebbe qualcun altro, un «burattinaio», un Mister X intenzionato a ricattare o manipolare i politici (la lista dei «dossierati» è davvero lunga e contiene mezzo governo Meloni, dal ministro Lollobrigida alla collega Casellati, oltre a uomini di alto livello della Lega, cosa che ha mandato su tutte le furie Salvini). Ma se è una questione di poteri occulti, allora gli uomini di spettacolo (c’era persino Fedez) e gli sportivi, come Allegri, l’allenatore della Juventus, che c’entrano? A che servivano? Queste informazioni venivano poi inviate ad altre persone tra cui un investigatore privato, un amministratore di condominio, un ex ufficiale della Guardia di Finanza che ora lavorerebbe per la sicurezza di un’azienda privata e appunto i tre giornalisti. Un assortimento davvero bislacco. Ma non si sa - non è chiaro, o quanto meno la Procura non lo dice - se Striano abbia inviato le informazioni di sua spontanea volontà o su esplicita richiesta. Bene hanno fatto il Procuratore della Repubblica di Perugia Raffele Cantone e il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Mellillo a chiedere di essere ascoltati sulla vicenda al Copasir e all’antimafia.

Serve la massima chiarezza, perché il centrodestra accusa di essere finito nel mirino del dossieraggio. Ma anche Conte, il leader dei Cinque Stelle, vuole sapere la verità. Insomma, chi c’è dietro questa vicenda di spie? Chi c’è dietro Striano & Co.? Ci sono delle eminenze grigie, o addirittura «filiere di potere organizzato», come ipotizza il Copasir? In uno Stato democratico occorre fare chiarezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA