Draghi, mosse chiave
su nomine e fondi

Un, due e tre. Prima la nomina di Franco Gabrielli alla Sicurezza nazionale. Poi la sostituzione dello scolorito Angelo Borrelli con Fabrizio Curcio alla Protezione civile. Infine la defenestrazione del contiano supercommissario Mimmo Arcuri e la nomina di un generale di Corpo d’armata, Francesco Paolo Figliuolo, al suo posto. E così la strategia vaccinale di Draghi ha posto le pedine sulla scacchiera disfacendo in poche mosse tutto ciò che aveva messo in piedi Giuseppe Conte tra molte difficoltà, certo, ma anche contraddizioni e inefficienze. Abolite le «Primule», adesso saranno l’Esercito (Figliuolo era il responsabile delle iniziative delle Forze armate nella lotta al Covid) e la Protezione civile ad occuparsi dei vaccini cercando di allestire più centri possibile usando i grandi spazi disponibili, dai palazzetti dello sport ai piazzali delle caserme fino a blasonate architetture come la Nuvola di Fuksas e l’auditorium di Renzo Piano a Roma.

Draghi del resto aveva posto la campagna vaccinale come il punto numero uno del programma del suo governo e si era lamentato della lentezza con cui essa si stava sviluppando sotto la regia di Arcuri. Un andamento del tutto inadeguato ad affrontare il rialzo della curva dei contagi. Saranno contenti Salvini e Renzi che da tempo chiedevano la rimozione di Arcuri, anche se non è chiaro se Draghi li abbia consultati su quel che aveva intenzione di fare.

Come non si sa se il presidente del Consiglio abbia cercato consigli sul Recovery Plan da riscrivere e che riscriverà lui stesso nei due mesi di tempo che ci rimangono prima di presentare i nostri progetti alla Commissione Europea. Il testo sarà rivisto personalmente da Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco insieme al super consulente di Palazzo Chigi Francesco Giavazzi e a qualche altro professore. E questa era la seconda priorità – in realtà parallela – del governo Draghi secondo una semplice verità: se non ci sbrighiamo coi vaccini l’economia non riparte e se non spendiamo bene i soldi (tanti) dell’Europa non sappiamo come finanziare la ripresa.

Due atti molto diretti e lineari, non annunciati con le trombe delle dirette Facebook ma con un fortissimo significato politico. Il governo va avanti seguendo una sua strada istituzionale e chiede sostanzialmente ai partiti di dare il loro consenso. Lo dimostra il nuovo Dpcm, che durerà fino al 6 aprile inglobando le «vacanze» pasquali: il governo ha mandato la bozza – di cui poco o niente si è saputo – ai governatori regionali che l’hanno restituita con il loro assenso. E ora parte il primo provvedimento di palazzo Chigi anti Covid senza che una sola conferenza stampa sia stata indetta. Ma si sapeva che con Draghi la comunicazione del Governo sarebbe stata così (del resto è stata affidata ad una funzionaria della Banca d’Italia, istituzione che non è certo nota per essere ciarliera).

Mentre il governo lavora, i partiti cercano di risolvere i loro problemi interni. I Cinquestelle (cioè Grillo) si sono affidati al salvagente di Giuseppe Conte per impedire che il Movimento esploda in mille pezzi e farlo approdare in Europa nel Pse (dopo l’alleanza con Farage e gli antieuropeisti di ogni genere). Il Pd sta cercando di mettere d’accordo le correnti per vedere come fare un congresso e con quali equilibri tra i capi-tribù. La discussione riguarda non solo la segreteria ma anche le prospettive di un raccordo Pd-M5S elettorale che stenta a decollare. Quanto alla Lega, ne vediamo in realtà due: quella di governo (Giorgetti) immersa nei dossier – 130 tavoli di crisi aperti, dossier Alitalia, Ilva, Autostrade, ecc. – e un’altra (Salvini) che cerca soprattutto di dimostrare di essere una forza che influisce sulle decisioni di Mario Draghi.

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