Economia, operazione verità invece di illusioni

Il commento. Qualche avviso ai naviganti. Il primo appuntamento del prossimo governo, che dovrebbe nascere non prima della fine di ottobre, è il varo della legge di bilancio in una congiuntura di rara complessità e che per tradizione divide qualsiasi maggioranza, oltre a registrare l’assalto corporativo alla diligenza. E questa volta non c’è il parafulmine Draghi.

I fondi speculativi paiono già scommettere contro il nostro debito pubblico fra i più alti al mondo (poco al di sotto del 150% del Pil), anche se nel 2021 è sceso di 4,5 punti percentuali e quest’anno dovrebbe calare di altri 3,8. Negli ultimi 20 anni non era mai avvenuta una riduzione così significativa del debito in coincidenza con l’uscita da una recessione. L’Italia cresce più di Germania e Francia e anche il tasso di occupazione è aumentato, toccando i livelli più alti dal 1977. Sappiamo però cosa ci aspetta in autunno, in un contesto di inflazione intorno all’8%, fra stretta sui tassi e superdollaro: choc energetico e corsa del prezzo del gas con ricadute molto pesanti, se non drammatiche, sul tessuto produttivo e sociale. Le imprese reggeranno e le famiglie ce la faranno? Ecco un paio di spunti un po’ rimossi nella loro carica perentoria in questa campagna elettorale, che fatica a riconoscersi nella realtà. Il risveglio dopo il 25 settembre potrebbe essere doloroso e a geometria variabile sul corpo sociale, mentre non tutti hanno preso coscienza della cornice e dei suoi effetti.

Non siamo un Paese povero, tutt’altro, ma il 10% della popolazione è in condizioni di povertà assoluta: quota triplicata dal 2005, passata da 1,9 milioni e 5,6

Assistiamo ad una crescita diseguale, ma chi ne sta beneficiando? In realtà la società, ed è ormai uno standard diffuso nell’Occidente, si sta polarizzando, crescono cioè gli estremi come fossero due estranei. Non siamo un Paese povero, tutt’altro, ma il 10% della popolazione è in condizioni di povertà assoluta: quota triplicata dal 2005, passata da 1,9 milioni e 5,6. Per contro, nella stagione delle crisi economiche e finanziarie, dell’austerità e dei sacrifici, la ricchezza finanziaria degli italiani (immobili esclusi) ha superato i 5.256 miliardi di euro e la crescita negli ultimi 10 anni è stata di quasi 1.700 miliardi. Risultato: una società spaccata in due, c’è chi fatica ad arrivare a fine mese e chi invece aumenta il proprio patrimonio. L’inflazione redistribuisce la torta a svantaggio dei redditi fissi. Lo squilibrio fra aumento del Pil e quello delle retribuzioni penalizza quei lavoratori dipendenti destinatari dei contratti firmati quando l’inflazione era all’1%. Al taglio reale delle retribuzioni s’affianca l’erosione dei risparmi investiti in attività finanziarie.

Il governo Draghi, prima di essere impallinato, aveva in corso l’agenda sociale dopo aver tentato di frenare l’aumento delle disuguaglianze (più posti di lavoro, taglio delle tasse per le famiglie, misure di sostegno). Temi finora non adeguatamente dibattuti. Ci sono improbabili progetti di spesa e riduzione delle tasse, due cose che non stanno esattamente insieme, ma solo frettolosi tributi al debito, deficit, bilancio pubblico.

Draghi al Meeting di Rimini ha ricordato che il Pnrr (circa 200 miliardi di euro spalmati da qui al 2026) è una prova essenziale della nostra credibilità

Poco viene detto della prossima legge di bilancio 2023, in parte già ipotecata per 25 miliardi tra indicizzazione delle pensioni, rinnovo dei contratti, conferma dei provvedimenti dell’esecutivo uscente (cuneo fiscale, bollette, accise), missioni all’estero. Lo spazio fiscale è destinato a ridursi. Draghi al Meeting di Rimini ha ricordato che il Pnrr (circa 200 miliardi di euro spalmati da qui al 2026) è una prova essenziale della nostra credibilità e finora il cronoprogramma è stato rispettato con tutti gli obiettivi delle prime due scadenze raggiunti. Entro fine anno vanno raggiunti 55 obiettivi per ottenere 21,8 miliardi dall’Unione europea. È opportuna l’idea di rivedere il Pnrr come chiedono Meloni e Salvini? Il Piano - di cui beneficiamo in misura maggiore rispetto ai partner Ue sulla base dei nostri bisogni, non per i nostri meriti - è un contratto a prestazioni corrispettive (risorse in cambio di riforme e investimenti): la modifica, sottoposta a precise clausole, può avvenire solo per volontà esplicita sia del governo interessato sia della Commissione europea e richiede passaggi su tempi lunghi. Altra questione da prendere con le pinze quella delle tasse, nella prateria dell’evasione di massa, in cui i contribuenti leali pagano anche per i furbetti.

Gli unici esecutivi riusciti a ridurre il peso delle tasse senza pregiudicare i conti pubblici sono stati quelli di Renzi e Gentiloni

Ghiotta occasione elettoralistica quella della flat tax (tassa piatta), peraltro in tre versioni del centrodestra. La serie statistica (documentata sul «Sole 24 Ore» dall’economista Marco Fortis sui dati Istat) dice però che il carico fiscale complessivo è cresciuto durante i governi Berlusconi 2 e 3 (valore medio annuo dal 39,9% al 40,1% del Pil), il Berlusconi 4 (dal 41,2% al 41,3%) e nel corso del governo giallo-verde, Conte 1 (dal 41,7% al 42,3%). Il massimo storico con il governo Letta (43,4%) e il balzo più forte della pressione fiscale s’è avuto con il governo Monti (dal 41,3% al 43,3%), ma lì si trattava di rientrare dall’imminente default e non c’era stata alcuna promessa di riduzione, anzi. Gli unici esecutivi riusciti a ridurre il peso delle tasse senza pregiudicare i conti pubblici sono stati quelli di Renzi e Gentiloni. I precedenti smentiscono la tesi che si possano tagliare le tasse senza copertura, perché la sforbiciata si autofinanzierebbe con la conseguente crescita economica. In conclusione: sulle prospettive della politica economica, in bilico tra fatti e promesse, servirebbe un’operazione verità, perché questo è uno di quei casi dove credibilità fa rima con equità.

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