Energie fossili, inizio della fine

MONDO. Transizione dalle fonti fossili anziché eliminazione graduale, nell’originale inglese «transition away» anziché «phase out»: si basa sulla sostituzione della seconda espressione con la prima l’accordo raggiunto alla Conferenza sul clima a Dubai, salutato come «storico».

Per la prima volta, infatti, si dichiara, nero su bianco, la necessità del superamento delle fonti fossili di energia. La combustione di carbone, petrolio e gas genera circa tre quarti delle emissioni che alterano il clima, mentre anche la parte restante è di origine antropica perché è dovuta alla deforestazione e all’agricoltura non sostenibile. In tutte le conferenze dell’Onu, iniziate nel 1995, i combustibili fossili sono sempre stati un «convitato di pietra»: «Nei documenti – ricorda il climatologo Antonello Pasini – si scriveva di riduzione di emissioni, ma senza legarle strettamente a quello che si deve fare effettivamente. Nel documento finale della Cop 28 finalmente lo si scrive, certo non in termini di “phase out” ma di una più ambigua “transition away”».

Del resto, sarebbe stato impossibile conseguire altrimenti un compromesso tra 198 Paesi con interessi divergenti e ottenere, anche se con riserve, il plauso globale. L’accordo è stato approvato da tutti, dai grandi Paesi come gli Stati Uniti, primi per emissioni pro capite, e la Cina, prima per il totale, e quelli produttori di petrolio e di gas, come l’Arabia Saudita e la Russia, così come da quelli più vulnerabili, le piccole isole a rischio di scomparsa per l’innalzamento del livello degli oceani, e quelli in via di sviluppo più determinati ad agire. «La Cop 28 – dichiara John Kerry, l’inviato degli Stati Uniti per il clima – è una ragione per essere ottimisti in un mondo di conflitti, dall’Ucraina al Medio Oriente». «Una parte cruciale di questo storico accordo – nota con orgoglio la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – è davvero “made in Europe”. Tutto il mondo ha approvato i nostri obiettivi: triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. L’accordo di oggi segna l’inizio dell’era post-fossile». Papa Francesco, nel discorso destinato alla Cop, parlava della crisi climatica come di «un problema sociale globale intimamente legato alla dignità della vita umana». In vista di Dubai aveva scritto la «Laudate Deum», l’esortazione per richiamare con forza alla responsabilità nei confronti dei nostri figli e del pianeta, ascoltando il grido sempre più forte della terra e dei poveri.

La Conferenza, iniziata il 30 novembre, si è chiusa così con un solo giorno di ritardo e con un risultato tangibile, frutto anche dell’astuzia del presidente della Cop negli Emirati Arabi, Sultan al-Jaber. L’accordo riguarda il «Global Stocktake», il primo «tagliando» sugli impegni per ridurre i gas serra e arrivare, entro il 2050, a emissioni nette zero, grazie a tagli e assorbimenti, e mantenere vivo l’obiettivo di un aumento del riscaldamento globale non superiore a 1,5 gradi entro fine secolo rispetto ai livelli pre-industriali, come la scienza esorta per evitare eventi meteorologici catastrofici. Ora, per tutti i Paesi del mondo, inizia il tempo dei compiti a casa, perché il clima non risponde ai pezzi di carta, ma alle azioni. Le emissioni, infatti, continuano ad aumentare, così come le temperature e i conseguenti fenomeni estremi, come ondate di calore, lunghi periodi di siccità, alluvioni. «Se dal punto di vista scientifico restano insoddisfazione e preoccupazione, dal punto di vista politico la Cop 28 compie un passo importantissimo», osserva Serena Giacomin, presidente di Italian Climate Network.

Per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, è un «compromesso bilanciato e accettabile. L’Italia è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile». Il passaggio decisivo del documento approvato è questo: «Transizione in uscita dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in un modo ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, per raggiungere le emissioni zero nel 2050 seguendo la scienza». La nuova bozza mantiene il riferimento alla necessità di triplicare le rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica entro il 2030, uno dei risultati chiave dei primi giorni di Cop 28. Entra per la prima volta nel testo finale il nucleare, dopo l’accordo di venti Paesi volto a triplicare la potenza entro il 2030. Si parla di accelerare l’adozione di nuove tecnologie, incluso il ricorso all’idrogeno e l’abbattimento delle emissioni tramite la cattura del carbonio, soprattutto nei settori più problematici, come la produzione di acciaio e di cemento. Insomma, c’è ampio spazio per confrontarsi sulle possibili soluzioni.

Ora, però, tutti i Paesi convengono, non solo la scienza: la crisi climatica si può mitigare solo con una «transizione in uscita» dai combustibili fossili. Proprio su come attuarla si dovrebbe tenere il dibattito: in Italia, invece, molti non hanno ancora capito come non sia affatto una questione solo ambientale e continuano, ancora oggi, a diffondere disinformazione sul clima. Gli scienziati ci avvertono che la crisi climatica colpirà l’Italia più che altri Paesi: è necessario l’adattamento locale per gestire l’inevitabile, mentre la riduzione globale dei gas serra deve evitare l’ingestibile. L’Italia è più vulnerabile per gli abusi perpetrati a un territorio già fragile. L’Italia, d’altra parte, ha solo da guadagnare da un’equa transizione energetica, priva com’è di fonti fossili ma ricca di sole e, al centro-sud, di vento, cui si aggiungono i co-benefici per la qualità dell’aria in particolare in un’area congestionata e orograficamente chiusa come la Pianura Padana. Pensiamo alle soluzioni, non a negare l’evidenza.

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