Eurobond: tabù rotto
con l’emergenza

La sospensione del patto di stabilità cambia la storia dell’Unione Europea. Ci sarà chi dice finalmente, per ostilità politica verso l’Europa, percependo un senso di liberazione «sovranista», e pensando al patto per i suoi aspetti cogenti e non per quelli positivi. Uno per tutti: l’inflazione, da quando c’è l’euro, è abbattuta (fin troppo: la Bce non è riuscita a portarla al 2%), a difesa di pensioni, stipendi, risparmi. Altri, potrebbero usare il termine neutrale necessariamente, e cioè prendere atto di una necessità non rinviabile di formidabili iniezioni di liquidità, scavalcando parametri e limiti.

Ma a noi scappa anche un purtroppo, nel duplice senso: purtroppo la situazione è talmente grave che anche questo è necessario, e nel senso che purtroppo questo apre la via ad una completa alterazione dei conti pubblici. Già si parla di un debito che salirà dal 135 al 155%, superando qualsiasi soglia psicologica. Lontanissime, di colpo, le condizioni esterne straordinarie (costo del denaro azzerato, costi energetici abbattuti) di cui non abbiamo saputo profittare quando potevamo scendere al 100%. E per fortuna, insieme al patto bloccato, vengono sblocchi degli investimenti cofinanziati, 11 miliardi freschi. Erano dormienti, ora svegliamoli.

Ma l’Italia aveva già cominciato l’anno in equilibrio precario, sul filo della terza recessione in un decennio, politicamente fragilissima e quindi non capace di far rientrare le ragioni di spesa di una breve stagione folle di sussidi per non lavorare e di anticipazione all’uscita di chi stava già lavorando. L’Europa ora ci autorizza a spendere e a salire sopra il 3%, che abbiamo già raggiunto con il colpo di altri 25 miliardi a debito per fronteggiare il virus. Salterà presto l’unico dato virtuoso e cioè l’avanzo primario (rapporto tra uscite ed entrate al netto degli interessi). Il debito ha un obbligo di rinnovo tra 300 e 400 miliardi all’anno che dobbiamo coprire mese per mese, e sono andate male le ultime aste per il collocamento. Da lì dipende tutto, anche le spese ordinarie, stipendi e pensioni (remember 2011?). Ci penserà non il mercato ma la Bce, che ha messo in campo oltre 1.000 miliardi, perché la gaffe della Lagarde ha prodotto l’effetto contrario.

Con l’economia reale ferma, occorreranno un mare di soldi e per la prima volta si parla seriamente di Eurobond, il tabù dei Paesi più virtuosi, che non volevano far debiti insieme a quelli più spendaccioni. È l’orribile virus in circolazione che azzera le differenze. Tutti in Europa percepiscono nello stesso modo il pericolo, che non distingue gli austeri costumi finlandesi dai falsificatori di bilanci greci o dai facili dispensatori di promesse elettorali italiani. Per la prima volta siamo davvero nella stessa barca. Magari li chiameranno «coronabond» (meglio di no, se non altro per scaramanzia) per mascherare la loro natura, e verranno limitati a interventi mirati, ma questa pandemia mette disordine in tutti i settori della vita umana, e anche aiutare i bagnini o gli attori di teatro è indispensabile. Sarebbe un’altra svolta epocale, la conferma che si esce dalla crisi con più Europa e non meno. È forse l’occasione per avere una vera Banca centrale come Usa e Giappone, non farlo sarebbe mettere a rischio anche la sua esistenza. L’alternativa è il si salvi chi può, che non salverà nessuno.

Ma non bisogna credere che l’eurobond di per sé faccia miracoli. Il suo avvento declassa gerarchicamente quello nazionale (un pò anche quello tedesco…). Occorre pensare ad interventi che ammortizzino questa svolta. Mario Monti ha suggerito l’emissione di titoli a lunghissimo termine esentasse, magari con il famigerato Mes come emittente.

Guido Tabellini, della Bocconi, ha pensato a titoli «irredimibili» (cioè talmente a lungo termine o senza termine, che non prevedono il rimborso del capitale, remunerato a vita con una piccola rendita) e acquistati dalla Bce. L’ultima volta furono emessi per la guerra d’Etiopia e prima ancora solo da Giolitti, ma per consolidare la lira. Questa di oggi rischia di essere peggio della guerra d’Etiopia. Pensiamoci. Meglio di una patrimoniale, visto che, quella, il virus già la sta facendo pagare.

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