Europa al bivio
Italia in stallo

In principio è stato Macron, un politico-tecnocrate non sempre decifrabile ma talvolta sorprendente, che ha posto una perentoria esigenza di trasformazione dell’Unione europea. Poi è arrivato lo stallo sul Recovery fund, imposto da Ungheria e Polonia. Nel frattempo il presidente dell’europarlamento, Sassoli, ha lanciato l’idea, giudicata irricevibile, di cancellazione del debito da Covid per sanare le ferite sociali. Fra una scossa e l’altra si prolunga l’autunno dello scontento italiano, perché la paralisi del nostro governo non sfugge a Bruxelles: il piano nazionale di ripresa e di resilienza da presentare in sede europea è ancora indietro e la diffidenza dei nostri partner può diventare un problema. Tutto questo, fra slanci in avanti e temporanei arretramenti, si consuma come conseguenza politica di due formidabili cambiamenti: il Covid e l’uscita di scena di Trump. L’Europa di oggi è irriconoscibile rispetto a quella di ieri. In meglio. L’Ue ha congelato i criteri del Patto di stabilità all’origine di tanti guai e s’è impegnata con enormi mezzi finanziari per affrontare l’attuale crisi dai tanti volti: sanitaria, economica, sociale. In un contesto che, incorporando anche la recessione del 2007-2008, alcuni economisti definiscono di «stagnazione secolare».

Mai come ora l’Italia è stata destinataria di interventi così massicci. I soldi arriveranno, ma in ritardo: non è uno scarto da poco. Lo stop di Ungheria e Polonia si inserisce nel conflitto fra establishment europeista e populismo euroscettico: i due Paesi si oppongono al vincolo fra gli aiuti europei e il rispetto dello Stato di diritto. Budapest e Varsavia, che hanno già rotto il patto con i valori europei cinque anni fa, sono sotto infrazione europea per il mancato rispetto di una serie di parametri, uno dei quali riguarda l’indipendenza della magistratura dal governo. Il leader magiaro Orbàn e il suo omologo polacco hanno tutto l’interesse a sbloccare il negoziato, perché i soldi Ue servono alle economie ungherese e polacca, tanto più che la Polonia è il terzo beneficiario del Recovery fund dietro Italia e Spagna. Il confronto è parte del contenzioso gestito dai populisti e sovranisti, che in Italia vogliono dire Lega e, in misura diversa, Fratelli d’Italia e dove la sofferenza economica riguarda in prima battuta quei ceti produttivi che si riconoscono in maggioranza nel centrodestra. Un mondo, quello della destra radicale, che con Trump ha perso una potente sponda simbolica.

Un’Europa che nel frattempo deve combinarsi con la Brexit che sta arrivando al capolinea, e con una storia del mondo che dopo vent’anni di rotture promette di cambiare ancora più velocemente. L’America di Biden si annuncia consensuale e multilaterale e questo può significare più autonomia e maggiore responsabilità. Si andrà verso nuovi rapporti di forza, in cui lo sfondo per ogni singola forza politica nazionale determinerà equilibri e alleanze europee sempre più stringenti. Vale per il governo Conte, nato sotto l’ombrello protettivo della nuova Commissione europea, alla guida del malato continentale, che ha ricevuto una fiducia condizionata dall’Ue superando le perplessità dei Paesi frugali del Nord. Una fiducia da meritare, mentre nel dibattito europeo l’Italia sembra non esserci. Là dove avrebbe tutto l’interesse a presenziare con il proprio attivismo la ricerca di un compromesso per affrettare i tempi del piano di aiuti europei. In fondo la riaffermazione di una certa idea della Francia in Europa, testimoniata dalla recente intervista a tutto campo di Macron, colma qualche vuoto proprio mentre i cugini d’Oltralpe sono sotto pressione del terrorismo islamista e nel mirino di un battitore libero alla maniera del turco Erdogan. Fra Inghilterra in retroguardia e Angela Merkel, l’ultimo leader di cui disponiamo, in uscita, l’ex rampollo della finanza che si vuole liberale sfida i populisti sul loro terreno, demolisce il pensiero economico-finanziario a trazione americana di questi decenni, dice che le classi medie delle democrazie occidentali hanno vissuto il cambiamento come sinonimo di sacrificio, non è affatto convinto che con il nuovo presidente americano si torni ai «bei tempi» di prima, spiegando che gli europei dovranno far da soli, in autonomia strategica.

Si può aggiungere, per interloquire con il presidente francese, che la competizione tra Francia e Italia in Libia è stata nociva per entrambi, visto l’insediamento della Turchia in Tripolitania e della Russia in Cirenaica quasi a prefigurare un’ipotetica spartizione del Paese che fu di Gheddafi. Però anche la grandeur di Macron, se vogliamo prenderla come irriducibile inclinazione storica, si giustifica in un riallineamento complessivo dentro i grandi scenari che si chiamano Biden, Merkel, Putin, Erdogan, per non parlare della Cina. In questo senso anche la piccola geometria politica italiana (tenuta del governo, scomposizione del centrodestra, tattica volonterosa di Berlusconi) andrà misurata oltre la cronaca. La faglia tra politica costituzionale e populista non è condannata a restare immutabile, quella conosciuta in questi anni.

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