Figli, l’assegno
luce di speranza

Una rendita mensile per ogni figlio, da ripartire tra i genitori, sposati, separati, conviventi che siano, non importa se italiani o immigrati purché residenti da almeno due anni, disponibile ancora prima che la creatura venga alla luce, dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni. Fino a poco tempo fa se qualcuno avesse proposto una cosa del genere in Italia - l’Italia libertaria dell’aborto, del divorzio e della tassazione a misura di single - lo avrebbero preso per pazzo o per reazionario. In Europa invece è la regola da decenni. Ma qualche pazzo che portava avanti nelle sedi opportune questa proposta di legge con pazienza, fatica e cocciutaggine evidentemente c’era: le associazioni familiari e molti cattolici che militavano in politica sotto bandiere diverse, ma anche laici che desideravano mettere in pratica il dettato costituzionale a cominciare dal sacrosanto articolo 31 («la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo»).

Oggi si raccolgono i frutti di questo lavoro certosino e ostinato. Il Senato infatti ha approvato a larghissima maggioranza una legge attesa da decenni: quella sull’assegno universale per i figli. Il premier Mario Draghi - non certo un tipo che dà fiato alla voce enunciando cifre spannometriche - ha già annunciato che entrerà in vigore il primo luglio e che gli assegni staccati dovrebbero essere in media di 250 euro per figlio. Le somme verranno suddivise in due parti, una modulabile a seconda dell’Isee, in omaggio alla progressività sancita dalla nostra Carta, e l’altra fissa, secondo un principio universale che premia chi fa figli contribuendo allo sviluppo e al futuro del Paese. Siamo arrivati buoni ultimi, ma alla fine siamo arrivati. Martedì 30 marzo è stata una data storica per il Parlamento nazionale e la politica a tutela della famiglia.

Che sia approvato da tutti i partiti, da Fratelli d’Italia fino a Liberi e uguali è quasi un miracolo parlamentare ma a ben vedere non sorprende in chiunque abbia un minimo di buon senso. L’Italia è il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone e il tasso di natalità rischia di vedere estinta la popolazione in tempi brevi. Da oggi lo Stato non lascia in balia delle difficoltà, o quanto meno contribuisce a rendere meno coraggiosa la meravigliosa scelta della maternità e della paternità. Inoltre onora almeno in parte il suo enorme debito nei confronti della famiglia, un’istituzione che da decenni svolge un ruolo sussidiario vedendosi scaricata sulle spalle giganteschi compiti di cura, educazione, istruzione, coesione sociale. Nel campo del Welfare familiare fino a ieri eravamo terzultimi in Europa, dopo Malta e Olanda.

Ora però, mettendo in campo oltre 20 miliardi di euro (una manovra economica intera) abbiamo recuperato e nella classifica dell’Unione superiamo persino la Germania per entità dei sussidi e articolazione del provvedimento. Certo ci sono ancora delle criticità. La sostituzione delle vecchie misure, tutte assorbite dalla riforma, si presenta difficile: cruciali saranno i 100 giorni che ci separano dal varo della legge attraverso i decreti attuativi. Alcune fasce che percepiscono gli assegni familiari, come i lavoratori dipendenti, rischiano di perderci, pare che servano ancora 800 milioni e una clausola di salvaguardia per evitare l’effetto «esodati» che riguardò la riforma Fornero. Inoltre non basta certo un assegno per determinare la complessità delle politiche familiari. Ma ormai la svolta è un dato di fatto. Con un sussidio che, come abbiamo detto, inizia addirittura quando il bambino è ancora nel grembo della mamma. Come dire: si è già cittadini nel grembo. Una delle cose più belle di questa legge, che in questi tempi così bui accende, come tutte le nascite, una luce di speranza.

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