Fondi europei, anche il Piano Marshall aveva paletti

Da più parti politiche si sollevano preoccupazioni e critiche per i rischi che possono derivanti dalle condizioni che l’Europa pone per l’utilizzo dei vari prestiti. Riguardo al Mes, come è stato ribadito dalla Commissione europea, l’unica condizione è che i fondi siano utilizzati per investimenti diretti o indiretti nel campo della sanità. L’unico problema, quindi, è dimostrarsi in grado di programmare e realizzare un dettagliato piano d’investimenti che riguardino la ricerca scientifica, la costruzione o l’ammodernamento di strutture sanitarie, nonché la sanificazione di scuole e aziende.

Per l’assegnazione dei fondi del Recovery Fund, si chiede che l’Italia si faccia carico di un piano straordinario d’investimenti orientato alla diffusione della digitalizzazione, alla realizzazione o all’ammodernamento d’infrastrutture, alla bonifica e alla messa in sicurezza di vaste parti del territorio del Paese.

Il tutto, seguendo i canoni di uno sviluppo economico sostenibile indirizzato a ridurre i dualismi economici e sociali. Si raccomanda, infatti, di effettuare interventi tra i 70 e gli 80 miliardi di euro per ridurre il crescente divario tra Sud e Nord attraverso la costruzione di strade, autostrade, porti, ponti, reti ferroviarie e alta velocità, acquedotti e impianti di depurazione, ecc. Si pone anche l’accento sulla necessità di attuare alcune riforme per: abbreviare i tempi della giustizia civile e penale; contenere la diffusione dell’economia sommersa; combattere l’evasione fiscale e ridurre sensibilmente le aliquote fiscali. Si tratta nel loro insieme di riforme che tutti i governi degli ultimi trent’anni hanno ripetutamente annunciato senza essere stati in grado di realizzarle per l’ossessiva preoccupazione di perdere consensi elettorali. Della realizzazione dei piani d’intervento, così come dello stato delle riforme, si dovrà ora invece dar conto periodicamente alla Commissione europea.

Non si tratta quindi di «pericolose condizioni», bensì di normali richieste che chiunque effettui un prestito ha il diritto e il dovere di porre. Essendo l’Italia un Paese furbescamente afflitto da memoria corta, ci si dimentica troppo spesso che gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, attraverso il piano Marshall oggi da molti invocato, ci hanno sì riempito di salvifici dollari per la ricostruzione, ma a condizione che si passasse da un’economia pubblica ad un’economia di mercato e che il Partito Comunista Italiano restasse confinato all’opposizione. Quest’ultima condizione fu sottoposta a costanti controlli. Il compianto Aldo Moro nel corso di una visita a Washington fu aspramente redarguito dall’allora potentissimo Segretario di Stato Henry Kissinger per la sua iniziativa politica di dare avvio al famoso «compromesso storico» con il Pci di Enrico Berlinguer. Fu lo stesso Moro al suo rientro in Italia a riferire di questa umiliazione subita, mostrandosi molto preoccupato. Porre condizioni chiare, precise e percorribili dà forza e concretezza ad ogni aiuto. Ce lo insegna da sempre il mondo del credito. Ogni banca che operi seriamente, prima di finanziare un cliente vuole sapere quale sarà la destinazione degli investimenti ed esige di poter controllare la loro realizzazione, ben sapendo che questo non è solo un proprio diritto, ma anche un preciso dovere rispetto ai risparmiatori che la finanziano. Anche la Lega - che oggi è la prima ad erigere barricate contro i presunti pericoli derivanti dalle condizioni poste dall’Europa - dimentica quante volte ha giustamente richiesto che fosse posto un efficace controllo ai fondi destinati al Sud, denunciandone in molti casi il loro dissennato sperpero.

Perché allora attaccare pretestuosamente l’Europa quando pone alcuni sacrosanti paletti per favorire l’esecuzione dei vari prestiti nel rispetto degli interessi di tutti i Paesi comunitari? La nostra recente storia dovrebbe indurre tutti ad una maggiore cautela mediatica e rispetto verso le istanze comunitarie. Il «Sistema informativo delle opere incompiute», con il censimento del 2018, ha infatti evidenziato l’esistenza in Italia di 546 opere non completate, che hanno richiesto investimenti per oltre 4 miliardi di euro e che necessitano di oltre 2 miliardi per il loro completamento.

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