Futuro dei giovani
Un macigno le crisi

Ne usciremo migliori. È una delle affermazioni che hanno accompagnato queste settimane tragiche sotto il tallone del coronavirus, insieme all’auspicio «Andrà tutto bene». A leggere certe cronache non si direbbe che l’umanità cambierà in meglio dopo la pandemia: a Lucca un’infermiera che lavora a contatto con i contagiati ha trovato nella sua buca delle lettere un foglio con il messaggio «Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in condominio. Ricordati che ci sono anziani e bambini, grazie». E non è un caso isolato di insofferenza verso medici o infermieri. Ce ne sono stati altri: eroi finché vi tenete alla larga. Conforta invece la mobilitazione solidale, spontanea o organizzata, che ha dato sostegno a chi lotta contro il Covid-19 negli ospedali, agli ammalati e agli anziani soli in casa. È un moto che crea anche comunità, rompendo il muro delle solitudini.

Di certo da questa epoca luttuosa dovremo uscire riscoprendo il valore dell’umiltà. Nessuno si fa da sé. Molto dipende dagli incontri cammin facendo e dalle circostanze favorevoli o meno. Nascere in una provincia florida, costruita da quegli anziani che sono stati le principali vittime del virus, offre più opportunità che venire al mondo in luoghi poveri e sperduti. Il cantautore Francesco De Gregori in un’intervista ha riconosciuto con modestia che se fosse nato e cresciuto in un paese dell’entroterra laziale invece che a Roma, non sarebbe l’artista affermato che è: le città, e soprattutto le capitali, offrono luoghi di formazione, di incontro e ribalte introvabili nei centri piccoli.

Ma anche l’epoca nella quale si vive fa la differenza. C’è una generazione di giovani (in particolare gli attuali trentenni) che paga, in termini di possibilità lavorative e di affermazione, l’aver incrociato due crisi gravi: quella finanziaria del 2008 e quella sanitaria in corso che avrà ricadute economiche e occupazionali gravissime, con la probabile serrata di imprese, attività di servizi e commerciali. Ad oggi si calcola che siano 10 milioni i nostri connazionali a rischio povertà per via del Covid-19, avendo perso il reddito.

Attualmente la disoccupazione giovanile in Italia è al 28,9% e nel 2019 eravamo tra i Paesi europei con la più alta percentuale di Neet (chi non studia né lavora, il 30% tra i 25 e 29 anni, 2,1 milioni di persone, 29 mila nella Bergamasca, contro il 18,7% in Francia, il 13,% nel Regno Unito, l’11,2% in Germania; anche Grecia e Spagna vanno meglio di noi), con un più marcato rinvio dell’autonomia dai genitori e della formazione di una propria famiglia. Ma anche con la povertà assoluta delle coppie under 35 con figli, su livelli doppi rispetto agli over 65.

L’analisi del sociologo Luca Ricolfi su questi dati è lapidaria: «Difficile non collegare questo triste primato ai due primi pilastri su cui si poggia la società: decenni di sacrifici e di risparmi dei padri, che hanno di molto accresciuto la ricchezza accumulata, decenni di smantellamento delle istituzioni educative che hanno consentito alle aspirazioni giovanili di crescere a dispetto del declino delle capacità effettive. La disoccupazione volontaria, di cui i Neet sono la manifestazione più evidente, è il prodotto naturale di questi processi». Ci sono esperienze positive in atto per contrastare il fenomeno. E ci sono giovani che il lavoro lo cercano ma trovano contratti precari o posti non all’altezza delle aspettative. Continua ad esserci poi un punto di scollamento tra il mondo della formazione e quello imprenditoriale se è vero che solo nella nostra provincia sono almeno 21 mila i posti nelle aziende che non si riescono a coprire per mancanza di profili professionali coerenti con le competenze richieste. È noto il fenomeno di chi cerca opportunità all’estero soprattutto legate agli studi universitari compiuti. Una parte riesce a trovare professioni all’altezza della propria qualifica, molti invece vanno a svolgere lavori qualsiasi.

L’emergenza coronavirus ha già prodotto una patina di negatività tra i giovani alla ricerca di un posto. Secondo un’indagine promossa dall’Istituto Toniolo con il ministero per le Pari opportunità e la famiglia, condotta da Ipsos tra fine marzo e l’inizio di questo mese in cinque Paesi (Italia, Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna) fra persone tra i 18 e i 34 anni, i giovani italiani (il 60%, insieme agli spagnoli) sono tra quelli che prefigurano maggiori ricadute negative a causa del Covid-19 sui piani che avevano per il futuro. Sarà bene che le forze politiche si rimbocchino le maniche per trovare risposte. Ci sono in ballo progetti di vita, il destino della nazione.

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