Germania e Italia
di fronte alla Cina

Ai cinesi non piace passare per gli appestatori dell’era moderna. L’Organizzazione mondiale della Sanità dichiara lo stato di emergenza globale ma senza drammatizzare gli effetti dell’epidemia del Coronavirus. «Paesi divisi, un cielo in comune»: il proverbio buddista ha accompagnato la donazione da parte del Giappone di un milione di mascherine anti-contagio. È lo spirito dell’Oriente. Questo spiega perché in Cina temano l’allarme in Italia.

Il presenzialismo mediatico del coronavirus non offre una bella immagine del Paese di Xi Jinping. Il presidente ha dovuto ammettere per la prima volta che vi sono stati deficit di intervento e inadeguatezze. Il che, per un regime a vocazione autoritaria, non è affatto scontato.

Gli italiani mostrano in questa occasione un’attenzione e una capacità di reazione che stupisce in uno Stato di solito caratterizzato da diverbi politici e inconcludenze operative. Basta pensare solo a come sono stati avviati i lavori di ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo per capire che l’organizzazione non è il pezzo forte nazionale. Nell’emergenza si dà il meglio, ma poi, come deve ammettere il capo della Protezione Civile Borrelli, quando subentra la quotidianità tutto si arena nella rassegnazione generale.

L’efficacia di un divieto si misura nella sua condivisione. Ed è un fatto che nessuno vuole ammalarsi, per di più per un virus nato in un altro Paese, anche se si tratta di una potenza mondiale. Gli italiani sono particolarmente sensibili al tema della salute. Si parcheggia in doppia o tripla fila, si evadono le tasse con facilità, si falsificano le presenze nei posti di lavoro pubblico, ma poi, quando si deve fumare una sigaretta, l’allerta è massima. Mai ordinanza è stata rispettata tanto scrupolosamente come il divieto di fumo nei luoghi pubblici. E del resto l’Italia è il Paese del bel vivere, del buon cibo, del buon bere, del vestire elegante, del bello che avvolge nel paesaggio e nell’arte.

La rivista Spectator ha pubblicato una classifica delle nazioni più influenti al mondo nel settore della cultura nel 2019. L’Italia è prima, seguita dalla Francia. La dolce vita è la bellezza che parla. La malattia è il suo nemico. Vi è quindi un rigore italico poco conosciuto e con il quale anche i cinesi devono misurarsi. L’ Italia firma, primo Paese del G7, il «memorandum of understanding» per la Via della Seta, offre la disponibilità potenziale dei suoi porti alla penetrazione industriale e commerciale di un Paese guidato dal partito comunista, non esclude il 5G ad Huawei: il tutto per garantirsi l’esportazione nel Grande Oriente. Ma poi, al primo allarme di virus, interrompe i collegamenti aerei e dichiara lo stato di emergenza sanitaria per sei mesi. Siamo esagerati? Forse, ma conseguenti. Così come lo sono i tedeschi. Qui bastano un po’ di numeri. L’indice azionario alla Borsa di Francoforte dal 2015 ad oggi è cresciuto del 208%. Se guardiamo ai dati di Siemens, però, ci accorgiamo che il passato non aiuta il presente. Gli ordinativi nell’anno 2018/19 sono calati del 2% e sono a quota 24 miliardi, i profitti sono scesi del 3%. Volkswagen vende il 60% della sua produzione in Cina. Deve reinventarsi come produttore di automobili a trazione elettrica con Tesla che adesso fabbrica direttamente in Brandeburgo. La Germania è in mezzo al guado e uno starnuto cinese contagia la sua economia ancor più dei suoi cittadini. I risultati aziendali di Mercedes sono in calo del 22%. Le cifre parlano: adesso sono di rigore i toni bassi.

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