Giustizia, politica
e regole del diritto

Nell’arco di una decina di giorni le Corti hanno emesso sentenze o richieste assolutorie importanti: riguardano anche politici finiti nella bufera quando vennero indagati. Il sindaco di Riace Mimmo Lucano, scagionato dalla Cassazione dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e da presunte irregolarità nelle gare per la gestione dei rifiuti. La procura di Arezzo ha chiesto l’archiviazione per Pier Luigi Boschi (padre dell’ex ministro Maria Elena) per il reato di bancarotta fraudolenta nel caso Etruria.

Se il gip archivierà Boschi vedrà cadere tutte le contestazioni penali ipotizzate nei suoi confronti. La Corte d’appello di Milano ha invece assolto definitivamente Giulia Ligresti dalle accuse di falso in bilancio e aggiotaggio nella vicenda Fonsai (intanto si è fatta un po’ di carcere). La Corte d’appello di Genova ha invece confermato l’assoluzione per Raffaella Paita, deputata Pd ed ex assessore regionale alla Protezione civile, per i fatti dell’alluvione del 2014 nel capoluogo ligure, quando perse la vita l’ex infermiere Antonio Campanella. Infine l’altro giorno la Cassazione ha assolto Ignazio Marino dall’accusa di peculato e falso per la vicenda degli scontrini delle cene di rappresentanza quando era sindaco (Pd) di Roma. Si trattava di una somma di circa 12 mila euro, sborsata tra il 2013 e il 2015.

Questo elenco si presta a diverse letture. Spicca innanzitutto l’assenza del circo mediatico-giudiziario e politico che si accanì su questi casi facendo a pezzi la reputazione delle persone: ma quel circo è interessato solo al recapito degli avvisi di garanzia (che sono uno strumento invece a tutela dell’indagato) o agli arresti. Quando i casi si sgonfiano è meglio levare le tende, senza vergogna.

Una seconda considerazione riguarda il funzionamento della giustizia. Si potrebbe dire: dove sta il problema? C’è una notizia di reato, ci sono le indagini, la loro chiusura e l’emissione di eventuali avvisi di garanzia, l’eventuale carcerazione preventiva (strumento abusato in Italia: il 40% di chi è in cella è in attesa di giudizio), i processi, le sentenze, i ricorsi possibili in Appello e in Cassazione. Chi viene assolto poi non necessariamente è «pulito» ma non si riesce a dimostrarne la colpevolezza. Un importante ex appartenente al pool di Mani Pulite, Piercamillo Davigo, si spinge a sostenere, in violazione del diritto, che «non esistono innocenti, ma colpevoli non ancora scoperti» e che «i garantisti pensano soltanto a garantire i diritti dei delinquenti». Affermazioni gravi, pronunciate dall’alto delle cattedre di presidente della II Sezione penale presso la Corte suprema di cassazione e di membro togato del Csm. Con buona pace di Davigo, capita che ci siano processi imbastiti su tesi che non reggono alla prova dei fatti, o fatti così labili da rendere incomprensibile il rinvio a giudizio, un passaggio abusato in Italia. Passaggi che riguardano persone e generano sofferenze, stravolgendone la vita. A levare ogni dubbio sulla presenza di atteggiamenti distorti da parte di magistrati ci vengono in soccorso le parole precise e soppesate di Sergio Mattarella, pronunciate nei giorni scorsi: «La magistratura - ha detto il capo dello Stato e presidente del Csm- non deve mai farsi suggestionare dalla pressione che può derivare dal clamore mediatico alimentato intorno ai processi, poiché le sue decisioni non devono rispondere all’opinione corrente – né alle correnti di opinione – ma soltanto alla legge. Non deve essere condizionata da spinte emotive evocate da un presunto, indistinto “sentimento popolare”, che condurrebbero la giustizia su sentieri ondeggianti e lontani dalle regole del diritto».

Una terza considerazione chiama in causa la politica, quella che usa le inchieste come arma per colpire l’avversario. Se lo fa la politica, ci lamentiamo poi perché nei cittadini serpeggiano sentimenti giustizialisti e inneggianti al castigo premeditato? Ma è così difficile fare proprio l’articolo 27 della Costituzione, là dove dice che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»? Non lo si fa per ignoranza o malafede?

Col pretesto dell’inchiesta sugli scontrini, il sindaco Ignazio Marino, dai suoi ritenuto ormai inadeguato al ruolo, fu sfiduciato dal suo stesso partito. Oggi Matteo Renzi dice che «le dimissioni dei consiglieri che lo fecero decadere furono una scelta politica del Pd romano». Ma è immaginabile che l’allora segretario nazionale dei dem non ne fosse informato? Almeno il dubbio è legittimo.

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