
(Foto di Bedolis)
ITALIA. La vicenda dei teleri di Mario Sironi, pensati per il Palazzo delle Poste di Bergamo, riportati a casa a furor di popolo (mediatico e non solo) a fine anni ’90 e poi finiti nell’oblio fa sorgere qualche domanda sul rapporto tra una città, la sua comunità e gli spazi destinati alla cultura.
È l’eterna questione dei contenitori e del contenuto che da sempre offre occasioni di confronto, molto spesso di scontro, raramente spunti per una gestione nuova delle cose. Tra l’altro, una delle due opere del Sironi ha come titolo «Il lavoro in città: l’architettura» che con gli occhi di adesso sa tanto di chiamata in causa. In parallelo, pochi chilometri più a Nord, ad Alzano Lombardo, in quella bassa Valle Seriana che una «Grande Bergamo» nei fatti e un’efficace linea tranviaria stanno rendendo sempre più vicina al capoluogo, si è chiusa l’annosa vicenda dell’ex cementeria Italcementi, venduta dopo una teoria di aste quasi infinita. Un bellissimo esempio di archeologia industriale per il quale si aprono spiragli di futuro, al netto dei vincoli sul recupero e della destinazione che verrà scelta.
I processi di rigenerazione urbana non si esauriscono con il semplice recupero (e l’eventuale trasformazione) dell’edificio, ma che devono essere accompagnati, a volte perennemente, da idee altrettanto forti e capaci di dare davvero nuove funzioni a vecchie realtà
Esempi vicinissimi all’ex cementeria, come quello di Spazio Fase, sono da un lato incoraggianti ma dall’altro fanno ben capire che i processi di rigenerazione urbana non si esauriscono con il semplice recupero (e l’eventuale trasformazione) dell’edificio, ma che devono essere accompagnati, a volte perennemente, da idee altrettanto forti e capaci di dare davvero nuove funzioni a vecchie realtà.
A Bergamo il dibattito si era riacceso anni fa quando si era pensato di trovare una nuova casa per la Gamec (la Galleria d’arte moderna e contemporanea) in quel dei Magazzini Generali di via Rovelli, come a individuare una nuova polarità cittadina semiperiferica alternativa alla zona più museale in senso stretto e tradizionale, quella della Carrara. Strada facendo si è però preferito lavorare sul rafforzamento di quest’ultimo polo (indicato anche negli strumenti urbanistici come dedicato all’arte, la cultura e al tempo libero) e sui Magazzini Generali e un’idea di riuso è calato un silenzio che sa di passato. Ancora più accentuato da un dettaglio decisamente involontario, quel murale realizzato nel 2019 in occasione della finale (persa) di Coppa Italia e dove dopo la partenza di Gian Piero Gasperini verso Roma dei protagonisti di quell’Atalanta dipinta sul muro non rimane nessuno.
Ma il discorso sui contenitori in attesa di contenuto vale anche per altri esempi di archeologia industriale poco distanti dai Magazzini Generali, come quelli di via David, tanto imponenti quanto inquietanti nel loro stato precario da decenni. L’auspicio è che possano trovare un domani nell’ambito del progetto di Porta Sud, al netto di tutte le incertezze (non poche) presenti e future.
Un discorso purtroppo non nuovo e che in un recente passato qualcuno ha voluto strumentalmente confondere con una presunta volontà di generare soprattutto un profitto economico. Orbene, premesso che pensare a spazi culturali incapaci anche solo in minima parte di autosostenersi è una visione abbastanza fuori dal mondo, qui il problema rimangono soprattutto le idee. Alla fine sono sempre quelle che fanno la differenza, e lo si capisce soprattutto quando temi così delicati per il futuro culturale (attenzione, non solo turistico, i due piani si toccano ma non si sovrappongono) della città vengono letti solo alla luce di ideologie di maniera.
Vicende come quella dei teleri del Sironi confermano che contenitori e contenuti devono andare insieme, che spesso le opere da sole non bastano, così come i luoghi, nuovi o vecchi che siano. Ci sono spazi che in passato hanno segnato lo sviluppo economico del nostro territorio e che ora possono (devono...) farlo sul piano culturale, ma a nuove funzioni deve corrispondere anche un’idea di futuro (culturale e sociale) capace di andare ben oltre i soliti schemi. Diversamente basta anche solo un lucchetto a una porta per chiudere ogni prospettiva di crescita.
© RIPRODUZIONE RISERVATA