Governo e Regioni
il contrasto si esaspera

Il contesto europeo della pandemia è sicuramente più preoccupante, almeno per il momento, di quello italiano, con la Francia che mette in lockdown l’area di Parigi per sei settimane e la Germania che si appresta a prendere suppergiù le stesse misure. Ma noi pure registriamo più di settemila contagiati in un giorno, sia pure con un numero molto alto di tamponi, e cominciamo a temere per la tenuta del sistema sanitario nazionale, degli ospedali, delle terapie intensive e subintensive (pur aumentate). In tutto ciò, il Dpcm appena entrato in vigore sembra un modo per evitare, stringendo adesso le viti, un nuovo fermo nazionale. Secondo alcuni addirittura le ultime restrizioni servirebbero fondamentalmente ad avere un effetto mediatico sulla popolazione inducendola a maggiore prudenza in modo tale che nel giro di alcune settimane la curva possa tornare a scendere e si eviti alla popolazione di doversi richiudere tra le quattro mura domestiche.

Il presidente del Consiglio non si sbottona più di tanto, affidandosi all’evolversi della situazione, ma resta pur sempre contrario ad un nuovo lockdown (e come potrebbe diversamente?) senza naturalmente chiudere la strada a nuove, possibili misure di massima emergenza. Che potrebbero essere assunte dalle Regioni nel caso se ne presentasse la necessità.

Dunque il governo tira una linea generale, poi chi vuole andare più in là può farlo se lo ritiene indispensabile: «Lo abbiamo già previsto nel Dpcm», spiega Conte, in qualche modo mettendo le mani avanti. Già, perché in tutti questi giorni di decisioni impervie il rapporto con le Regioni non è stato rose e fiori: sul trasporto pubblico, per esempio, o sulla frequenza a scuola le opinioni si sono scontrate e non solo tra il governo e i governatori, ma anche tra regione e regione.

C’è chi pensa, ad esempio il veneto Zaia, che sarebbe meglio ritornare alla didattica a distanza nelle ultime classi delle superiori (così da alleggerire il peso sul sistema dei trasporti locale, di nuovo al collasso) e chi invece, come la ministra Azzolina o il governatore dell’Emilia Romagna, insiste per mantenere aperte le scuole come segno di normalità della vita nazionale. Certo non aiuta – e lo ripetiamo per l’ennesima volta – il fatto che la Costituzione riformata nel Titolo V sia tanto vaga sulle competenze nazionali e regionali in determinate materie; e il rischio che ancora una volta si assista allo spettacolo dell’«ognun per sé» che abbiamo visto in primavera è più che concreto. Naturalmente in questa discussione alquanto confusa e affrettata dall’emergenza, pesano le differenze politiche.

L’opposizione di destra, Lega e FdI, al centro e in periferia ha tutta l’intenzione di cavalcare la protesta contro le norme del governo e, in generale, contro la gestione della pandemia da parte di Palazzo Chigi e del ministero della Salute: le varie categorie che stanno per essere colpite di nuovo dalle chiusure cercano un appoggio politico e l’opposizione è determinatissima ad offrirlo. Le regioni a guida di centrodestra ormai sono più della metà e – per quanto abbiano in passato dimostrato di saper trovare uno spirito «nazionale» – tuttavia difendono puntigliosamente i loro poteri. Sul Mes tuttavia i governatori di centrodestra sembrano distaccarsi dall’orientamento di Salvini e Meloni: quei soldi a tasso zero e pronta cassa per la sanità messa sotto stress sarebbero estremamente utili per affrontare la seconda ondata e le regioni sono disposte a passar sopra i dubbi e le riserve sulle condizionalità – che peraltro molti non riscontrano – del prestito europeo.

Insomma, il quadro che si delinea è di una certa confusione, sia politica che istituzionale, tanto che il Quirinale a più riprese fa sapere di vigilare perché il Paese affronti il più possibile unito la nuova sfida del Covid-19.

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