Governo Meloni, il difficile è ora

ITALIA. Da un lato le rivendicazioni di grandi successi della crescita economica, dall’altra forti preoccupazioni per i ritardi del Pnrr. Due segnali contraddittori, e il bello è che sono entrambi sostanzialmente veri. Distribuire meriti e responsabilità richiede allora un esercizio di onestà intellettuale.

Sul Pnrr Meloni si gioca la reputazione, ma molte responsabilità risalgono alle improvvisazioni di Conte e ai troppi «fidatevi di me» di Draghi. Sarebbe un disastro politico fallire l’appuntamento. Il Piano si può cambiare (ma decidiamoci a dire come), la governance può essere accentrata, come da unica decisione concreta, ma aver speso solo l’1% dei fondi per la sanità è inaccettabile. Hai un bel ripetere che tutto va bene, ma ci sono ben 17 scadenze da rispettare entro il 30 giugno e prima di fine 2023 vanno spesi 58,3 miliardi.

Per ora, Meloni può sorridere grazie ai numeri dell’economia e dell’occupazione (anche se la produzione industriale ha improvvisamente cominciato a scricchiolare, effetto dei guai tedeschi). Siamo usciti bene da un inverno atteso come fosco, freddo e di rinunce. Non è andata così. Al semestre arriviamo con un +0,6, molto più forti della Germania (-0,3 del Pil, dopo uno -0,5), dell’Olanda (-0,7) davanti alla Francia (+0,2) e alla media europea, che è in recessione tecnica. Ha contato molto la risposta efficace alla crisi energetica, grazie al coraggioso lavoro dell’Eni e dell’ex ministro Cingolani. La nostra dipendenza dalla Russia è pressoché cancellata. A settembre era un incubo.

I grandi fondi internazionali ce ne danno atto. McQuarie, che è entrato in Italia solo attraverso la porticina bergamasca di una piccola autostrada, è attivissima sulle grandi partite finanziarie, BlackRock vuole allocare ben 15 miliardi di investimenti. La spiegazione è interessante: secondo loro, l’Italia ha anticipato la soluzione di alcuni problemi strutturali, mettendo mano a mercato del lavoro, pensioni e riforme. Mentre noi ci attardiamo a polemizzare sulla Fornero, sul Jobs act o su industria 4.0, altri notano che la Francia, ad esempio, deve ancora affrontare sulle piazze questi stessi nodi. Aggiungiamo un dato sgradevole. La pandemia ha falciato migliaia di imprese, spesso precarie, buttandole fuori mercato. Era un fardello che alterava la concorrenza, produceva diseconomie esterne, disturbi su mercato del lavoro. Socialmente doloroso, ma è anche così che si sono liberati spazi a sostegno dell’export ed è scattata la molla esplosiva del turismo.

E poi c’è la politica. Con cinismo e sprezzo delle promesse elettorali, Meloni ha disapplicato totalmente la sua narrazione di partito. Ora abbiamo non diciamo un Draghi in gonnella, ma una continuità percepita favorevolmente in tutte le dimensioni internazionali. Biden e ultimamente anche Scholz perché mai dovrebbero preoccuparsi dell’ex attivista missina della Garbatella, che parla di Ucraina e Nato come un libro stampato? Solo Macron ha cattivi rapporti, ma è l’unico politico innovativo in circolazione. Ora però viene il passaggio politico più difficile, che si consumerà entro le elezioni europee. Continuare così o tornare alle origini antieuropee? Meloni deve decidersi. L’interesse della «nazione» sta nell’alleanza con Francia e Germania, non nel suo asse preferenziale di sempre: Polonia e Ungheria, i Paesi con lo stigma di essere pericolose autocrazie.

Collegato a questo, il tema delle alleanze. Se Meloni, capa dei Conservatori, apre la campagna elettorale per rovesciare il tradizionale asse popolari-liberali-socialisti, la Meloni capo del Governo esporrà il Paese a un anno di ricatti e polemiche, avendo già come punto debole proprio il Pnrr. Fine del feeling commovente con Von der Leyen.

Pressata da un Salvini sempre amico delle estreme, non bilanciata da una Forza Italia senza più guida, per ora solo in funzione marginale di «Croce Rossa degli eccessi», rischia il vicolo cieco. Vedremo presto qualcosa di significativo: cedere sull’assurdo no al Mes, ad esempio, capire che la concorrenza è l’architrave dell’Europa, altro che balneari. Oppure no? Il difficile viene adesso.

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