Governo, la posta in gioco è alta. Forse troppo

ITALIA. La situazione dei rapporti tra il governo italiano e la Commissione europea è in piena evoluzione e questo spiega in buona parte il perché dell’aumento della tensione con il commissario italiano Gentiloni (che di suo smorza i toni e si sottrae: «non partecipo a polemiche che danneggiano l’Italia»).

In sostanza l’ex presidente del Consiglio di centrosinistra è accusato da Meloni, Salvini e Tajani di non sostenere a sufficienza il suo Paese «come fanno tutti gli altri». La posta in gioco è molto alta, in effetti: l’Italia sta con affanno cercando i trenta miliardi di euro necessari alla sua manovra economica; i soldi non ci sono e molte promesse elettorali dovranno essere ridimensionate o rinviate o tagliate addirittura, e questo proprio a pochi mesi dalle elezioni europee. Situazione complicata ulteriormente dal fatto che l’economia Ue rallenta e la crescita italiana frena con previsioni al ribasso per il 2023 (+0,9%, era previsto un +1,2%) e per il 2024 (+0,8%, previsto +1%).

In questo contesto vanno avanti con grande incertezza le trattative per il nuovo Patto di Stabilità post pandemia che dovrebbero concludersi entro la fine dell’anno. Se così non sarà, dal 1° gennaio torneranno in vigore le vecchie, rigide regole che vennero formulate in un’altra e ben diversa stagione, e cioè prima del Covid e prima della guerra europea in Ucraina. I Paesi rigoristi del Nord spingono per irrigidire di nuovo le regole della finanza pubblica comune, soprattutto per i Paesi più indebitati, cioè l’Italia, e certo la loro linea è corroborata dalla stessa polemica tutta italiana sul disastro che i bonus edilizi hanno apportato ai conti pubblici nazionali e che il ministro dell’Economia lamenta ogni giorno anche per giustificare i tagli alle misure più generose che si sarebbe voluto inserire nella manovra.

Proprio qui, in questo nodo, si situa la polemica tra Meloni e Gentiloni, accusato di non avere «un occhio di riguardo» (per usare le parole della presidente del Consiglio) per il suo Paese, al punto da costringere Bruxelles ad intervenire ricordando che i commissari sono al lavoro per garantire il funzionamento di tutta l’Unione e che le decisioni sono di norma collegiali. Niente da fare: da Roma si sono ripetute le parole di una polemica ogni giorno più astiosa. A gettare benzina sul fuoco anche l’acquisto della compagnia aerea Ita – oggi controllata dal Tesoro – da parte di Lufthansa. Palazzo Chigi accusa la Commissione di ostacolare la procedura «dopo averci messo fretta per anni per risolvere la questione». E anche qui viene tirata la giacca di Gentiloni che però ricorda: «la questione non è una mia competenza». Insomma, è probabile che questo stato di cose perduri ancora a lungo.

Nel frattempo una notizia positiva: è stato finalmente deliberato il pagamento della terza rata del Pnrr (18,5 miliardi). Il bonifico arriverà tra la fine di settembre e i primi di ottobre (era atteso per la fine del 2022). Da adesso si parlerà della quarta rata.

Ma, per una notizia confortante, ancora una spruzzata di amaro: Palazzo Berlaymont (sede della Commissione europea) ci fa sapere che aspetta da Giorgetti una rapida risposta sulla ratifica del Mes, il fondo salvaStati, che l’Italia è l’unica a non aver ancora firmato. Meloni si vuole tenere in mano un’arma negoziale per ottenere qualche sconto nella trattativa sul nuovo Patto di Stabilità, ma Giorgetti le ha più volte spiegato che l’arma è piuttosto spuntata e non dovrebbe sortire l’effetto sperato. Tuttavia toccherà proprio a lui difendere la linea ufficiale di Roma (in cui non crede) ai suoi colleghi quando, venerdì, si riunirà l’Eurogruppo: non sarà un compito agevole.

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