Governo senza piano b
Sull’Ilva può cadere

L’eccezionale ondata di maltempo ha provvisoriamente oscurato il dramma dell’ex Ilva di Taranto. Ma mentre gli avvocati di Arcelor Mittal depositavano al tribunale di Milano la richiesta di recesso dal contratto, la fabbrica dei diecimila operai lentamente ma inesorabilmente rallentava la produzione, segno inequivocabile della prossima fermata. A Roma si brancola nel buio. Tra annunci roboanti di guerra ai franco-indiani («Li costringeremo a rispettare il contratto», «Non si sognino di aprire un conflitto giudiziario con lo Stato italiano») e l’apertura di un bizzarro brain storming ministeriale lanciato da Giuseppe Conte su chi abbia l’idea migliore per uscire dal vicolo cieco, l’unica speranza è che i rappresentanti della multinazionale – che ieri ha chiuso anche gli impianti in Polonia – tornino al tavolo a negoziare.

Alla Camera la commissione Finanze ha dichiarato inammissibili gli emendamenti di Italia Viva per la reintroduzione dello scudo penale cancellato grazie all’ex ministra Lezzi, e a Palazzo Chigi si cerca di convincere i grillini che una qualche forma di immunità bisognerà pur concederla, se non altro per affrontare la causa con qualche chance in più. Conte – che aveva detto: «Il problema è lo scudo? Lo rimettiamo in due ore» – è stato bruscamente smentito da Di Maio e dai deputati grillini di Puglia guidati dall’ex ministro Barbara Lezzi. E tuttavia in un’altra riunione parlamentare il ministro Patuanelli è riuscito a strappare una mezza disponibilità per uno scudo a tempo determinato da concedere in cambio di un ampio piano di risanamento ambientale (ma non c’era già?). Sembra che i parlamentari pentastellati molto a malincuore abbiano fatto questa minima «apertura» alla trattativa che il governo vorrebbe tanto riaprire, anche se poi hanno smentito coi giornalisti di essersi mai pronunciati in questo senso.

Insomma, c’è una grande confusione e a poco serve la speranza di nazionalizzare la più grande acciaieria d’Europa: «Sarebbe una illusione pericolosa» ha detto il ministro dell’Economia Gualtieri e anche Salvini, attaccando a testa bassa il governo e la maggioranza, ha detto chiaramente che «per nazionalizzare non ci sono i soldi». Senza considerare che Bruxelles difficilmente avallerebbe un simile aiuto di Stato. A proposito di Europa, il ministro della Coesione Sociale Provenzano è volato a Palais Berlaymont per chiedere che il Piano per la decarbonizzazione che Ursula Von der Leyen ha promesso venga allargato anche al settore dell’acciaio. Il problema è che la Commissione ancora non è operativa e il piano deve essere varato, quindi non stiamo parlando di tempi brevi per usufruire di quei fondi.

La domanda è: sull’Ilva cadrà il governo? Non si sa, ma certo rischia molto. Se anche dovesse schivare una prova parlamentare (è stato escluso il ricorso alla fiducia in qualunque caso), sarebbe ben difficile per Conte e i suoi ministri gestire un’emergenza come quella che si produrrebbe un istante dopo la chiusura formale e ufficiale dell’impianto. Diecimila famiglie in mezzo alla strada in Puglia e nelle altre regioni dove si trovano gli impianti Ilva sono difficilmente affrontabili se non si ha un piano alternativo. E il governo un piano B ha dimostrato di non averlo. Si fantastica di nuove cordate con l’altra famiglia indiana dell’acciaio che perse la gara con Mittal e che ora smentisce qualunque interessamento, si evocano i cinesi desiderosi di sbarcare con il loro acciaio in Europa, e si interpretano i labiali dei colloqui tra Conte e Angela Merkel per capire se il presidente del Consiglio abbia chiesto ai tedeschi un aiuto. Ma tutte queste sono ipotesi astratte: l’unica speranza è di riaprire un negoziato con gli indiani senza fare la figura di chi sta implorando.

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