Grati a Bergamo
da terre ferite

Bergamo purtroppo è finita al centro dell’attenzione del mondo. Purtroppo perché l’oggetto di questa visibilità sono le migliaia di contagiati e le decine di morti per il coronavirus. Ne hanno scritto perfino grandi giornali come il «New York Times», il «Washington Post» e il «Times». Grazie a internet, le notizie sulla tragedia che stiamo vivendo sono arrivate anche nei luoghi più sperduti dell’Africa, dell’America Latina e dei Balcani. Così un messaggio di incitamento ai bergamaschi e all’Italia è giunto a Seriate dalla missione Saint Maurice ad Agnibilekrou, in Costa d’Avorio, una terra ancora segnata dalla guerra civile (2002-2011), dove opera don Marco Giudici, per anni curato dell’oratorio del comune dell’hinterland.

Dice il messaggio: «Forza Bergamo, Forza Italia. Non si molla, vi pensiamo. I bambini della Costa d’Avorio». Attestazioni di sostegno sono arrivate anche da Cuba, dove vivono quattro missionari della nostra Diocesi, con l’augurio condiviso dalla popolazione locale di uscire presto dall’emergenza del Covid-19.

Messaggi di solidarietà e vicinanza giungono anche dal Kosovo, dove un cartello di enti bergamaschi (associazioni, Caritas, Comune di Bergamo e sindacati) operò per la ricostruzione a Peje subito dopo la guerra (1996-1999). Grazie a 500 volontari della nostra provincia furono riattivate 400 case, realizzate scuole, un centro polifunzionale, serre per le attività agricole. E il rientro, preceduto da un’opera di riconciliazione, nelle loro abitazioni dal settembre 2004 di 140 serbi in tre villaggi nella valle di Radavac, baricentro dei progetti e abitata in maggioranza da albanesi. Interventi che non sono stati dimenticati: il soccorso al popolo costretto a fuggire dalla regione della ex Jugoslavia (oggi Stato indipendente riconosciuto da 113 Paesi) sotto l’incalzare dell’esercito serbo è una pagina di storia. Oggi quel popolo ricambia la solidarietà ricevuta.

Il cartello che agì in Kosovo è lo stesso che intervenne durante il conflitto in Bosnia (1992-1995) a Kakanj, cittadina di 38 mila abitanti, 40 chilometri a Nord di Sarajevo. E proprio in questi giorni la facciata della storica Biblioteca della capitale bosniaca, la Vijecnica, distrutta durante l’assedio e ora sede del municipio, è stata illuminata con i colori della bandiera italiana «in segno di sostegno» al nostro Paese e di riconoscenza per quello che gli italiani hanno fatto in Bosnia durante il conflitto, portando viveri e vestiti e soccorrendo e accogliendo in Italia chi scappava da bombe e cecchini, una presenza continuata alla fine dei combattimenti per ricostruire ciò che andò distrutto. Anche il ponte di Mostar, un altro dei simboli della ex Repubblica jugoslava, devastato dalla guerra e poi ricostruito anche con aiuti italiani, è stato illuminato con il tricolore. Ma segni di vicinanza arrivano anche dall’Italia. Sergio Pirozzi, ex sindaco di Amatrice, ha invitato i cittadini del paese laziale spazzato via dal terremoto (dove abbiamo ricostruito alcuni luoghi) ad accendere una candela per chi lotta contro il Covid-19 e in particolare per Bergamo.

Nel 2005 l’uragano Katrina si abbattè sugli Stati Uniti, provocando 1.833 vittime. In Uganda 200 donne che si guadagnano da vivere (1,2 dollari al giorno) rompendo pietre in una miniera alla periferia della capitale Kampala decidono di raccogliere fondi per sostenere gli sfollati statunitensi. Mettono insieme 800 dollari. La motivazione, elementare e umanissima, è spiegata da una di quelle donne: «I loro bambini sono come i miei bambini. Vorrei che sentissero di essere amati». In prevalenza sono sole e malate di Aids. Abitano nelle baracche a Kampala. Hanno una vita sociale e sono accolte come persone solo grazie al «Meeting point international», creato da una santa donna, Rose Busingye, infermiera professionale specializzata in malattie infettive. L’opera è sostenuta anche da una ong italiana (Avsi) che riceve donazioni pure da Bergamo. Quelle donne fragili l’anno prima avevano donato una piccola (ma grande per loro) somma anche per le vittime dello tsunami nel sud est asiatico. Quando si dice la famiglia umana.

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