I comici in politica
Non c’è da ridere

Il nuovo presidente dell’Ucraina, eletto con il 73% dei suffragi, è Vladymyr Zelensky, comico di professione. La prima osservazione è che non c’è niente da ridere, se non altro perché il Paese (il più grande e il più povero d’Europa) è alle prese con l’irrisolta guerra nella regione orientale del Donbass. Solo con il tempo sapremo se è uno scherzo del destino, ma in ogni caso è uno scherzo da prendere sul serio. Questo e gli altri. Nell’era delle emozioni che muovono l’elettorato, risultati di tal genere non destano più scandalo: come tendenza cadono, senza sorpresa, le stelle dei vecchi maestri del pensiero e s’illuminano quelle nuove dei masterchef.

La mancanza di esperienza politica del nuovo leader è il suo valore: l’unico tirocinio lo ha visto protagonista di una popolare fiction televisiva, «Servo del popolo», in cui si narra di un professore di storia eletto a sorpresa capo dello Stato dopo aver attaccato la corruzione governativa. Un copione seguito anche nella realtà a conferma che la tv, nel conservare la supremazia nella dieta comunicativa dell’opinione pubblica, unita ai social media diventa uno strumento travolgente.

L’Ucraina, nel suo piccolo, dice molto dei tempi nostri: gli elettori, stanchi di oligarchi e corruzione, hanno scelto il cambiamento netto. Anche a costo di spingersi oltre, verso l’ignoto. Zelensky, pur non radicale, può rientrare nell’ultima generazione di politici accomunata dall’ostilità nei confronti delle élites e dalla denuncia del malgoverno, ma soprattutto dall’abilità nel sapersi vendere. Lo stile comunicativo è tutto: quello dell’outsider, l’alieno che fa dell’antipolitica una politica.

Il terreno è ovunque arato, essendosi consumata da tempo la scissione fra professionisti della politica e cittadini. Nel 1980 il comico più amato di Francia, Coluche, s’era candidato alle presidenziali per poi rinunciare, nonostante avesse con sé il fior fiore dell’intellettualità. Qualcosa del genere lo abbiamo rivisto con Grillo. Restando nei dintorni, il commediografo Guglielmo Giannini ha inventato L’Uomo qualunque, durato lo spazio di un mattino e tuttavia rimasto in pancia a molti fino ai giorni nostri.

Ma è con l’ex attore Reagan, poi governatore e infine presidente di un’America di nuovo orgogliosa, che si salda il colpo di teatro con la politica dai sapori forti: il grande comunicatore, l’affabulatore, capace di fornire all’opinione pubblica uno spettacolo in serie da gustare in ogni momento. Con la retorica del cambiamento e della divisione amici-nemici si afferma la politica come prodotto di marketing, in cui l’abilità mediatica sorpassa competenza e conoscenza. Leader manipolatori, un po’ gente comune e un po’ divi.

La gioventù diventa una virtù. Negli anni ’80 si andava dai 52 di Kohl ai 69 di Reagan. Nei ’90 dai 46 di Clinton ai 58 di Berlusconi. Negli anni Duemila si oscilla dai 39 di Renzi ai 52 di Sarkozy. Di Maio ne ha 33, l’ucraino Zelensky 41. La democrazia è sotto attacco e, da sempre, conosce cicli di riflusso e di rigetto. Quella di oggi appare in profonda trasformazione, alla maniera di uno spettacolo d’avanguardia, di una seducente messa in scena per apprendisti stregoni e per un pubblico non più di devoti ma di spettatori: la democrazia recitativa, come la chiama lo storico Emilio Gentile. La politica doveva redimere il mondo, si ritrova sul lettino dello psicanalista, sorvegliata dalle neuroscienze e dalla psicologia di massa. Se messa in scena ha da essere, meglio affidarsi ai titolari del mestiere, alle tribù di comici e affini, e non alle copie: anche questa è democrazia, pur con la febbre. Salvo richiamare in servizio i professionisti della politica per riparare i danni, quando il paziente vuol tornare a vivere.

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