I giorni cupi del Pd con la leader sotto sfratto

ITALIA. Sono giorni cupi per Elly Schlein, la segretaria del Pd che, montata in sella solo otto mesi fa, già sente aria di sfratto. Che in effetti le è già stato notificato via «Unità», il giornale che fu del Pci e che, pur non essendo più l’organo ufficiale di nessuno, è pur sempre espressione di un’area progressista che a quella «testata» è ancora affezionata.

Il suo direttore Piero Sansonetti (una vita nel giornale di Berlinguer, D’Alema e Veltroni) lo ha scritto chiaro e tondo: cara Elly, vattene, ridacci il partito, dobbiamo fare l’opposizione alla Meloni. La tesi è chiara: in questi mesi la segretaria «ha ridotto il partito ad un’ameba», senza voce, senza linea, senza identità (che già mancava all’atto della nascita, diciamo la verità). È servita solo, continua impietoso il giornalista, ad esiliare il gruppo dei vecchi dirigenti che sono stati sostituiti da un circoletto di fedeli della segretaria, «volenterosi certo, ma anche inadeguati».

A guardarli, i dirigenti attuali del Pd, sono tutti la copia conforme della segretaria: esprimono un partito di sinistra radical-chic, ecologista radicale, fedele alle piazze Lgbt, più attenta alle istanze dei gay che dei disoccupati, inesistente nelle fabbriche, ma molto attivo nei salotti televisivi del politicamente corretto, soprattutto alla 7 (e meno a Rai3, smontata pezzo a pezzo dagli attuali capi di viale Mazzini). Una sinistra che però si lascia sorpassare spesso e volentieri dal suo più insidioso vicino, il M5S di Giuseppe Conte, il quale si è messo in testa di superare i democratici come primo partito dell’opposizione di sinistra. La Schlein sembra sempre dover rincorrere Conte: è appena successo a Firenze.

Il leader dei pentastellati infatti ha proposto la candidatura di Tomaso Montanari a sindaco della città. Montanari è l’estroso storico dell’arte rettore di Siena che passerà alla storia soprattutto per aver istituito il terzo tipo di toilette nel palazzo dell’università e che da anni ambisce a conquistare un ruolo politico, operazione che non gli è mai riuscita. Coccolatissimo da Lilli Gruber in televisione dove è una specie di prezzemolino, sparacchia ogni contro questo e contro quello; è stato nemico giurato di Dario Franceschini e ha insultato Franco Zeffirelli anche da morto, e quanto a ciò che sta succedendo in Medio Oriente aderisce al Free Palestine con una certa ambiguità sulla macelleria di Hamas.

Ecco, questo signore alla Schlein piacerebbe, al Pd no. E i democratici fiorentini lo hanno detto a brutto muso: cara segretaria, caro Conte, il candidato sindaco lo decidiamo noi, non voi da Roma. E per la segretaria è stata l’ennesima delegittimazione da parte di un partito che – non dimentichiamolo – aveva votato a larga maggioranza dei militanti per Stefano Bonaccini come segretario, mentre lei è stata incoronata dagli elettori che partecipano a quel rito barocco e perlopiù incomprensibile che sono le primarie del Pd.

Non è un mistero che i residui capi democratici stiano aspettando le elezioni europee di giugno per mettere in pratica lo sfratto annunciato da Sansonetti sull’Unità. I sondaggi autorizzano previsioni pessimistiche, in linea con tutti i risultati in calo degli ultimi tempi. Chiuse le urne scatterà la congiura. «È finito il tempo dei giochetti», ha sentenziato il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, nemico giurato della segretaria. Questo significherebbe anche la fine della retorica del «campo largo», ossia dell’alleanza tra piddini e grillini cui la Schlein crede, non accorgendosi del fatto che l’unico a guadagnarci sarebbe Conte. Fallito anche questo simulacro di unità delle opposizioni, Giorgia Meloni potrà governare a lungo: i guai, per Giorgia, possono venire soltanto da casa sua

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