I giovani sono più forti dei luoghi comuni
Generazioni da valorizzare

Il video pubblicato sui siti dei giornali lo ritrae mentre tende il corpo nelle ultime bracciate prima di toccare la vasca. Uno stile libero impeccabile, salvo qualche comprensibile tentennamento. Lui è Manuel Bortuzzo, 19 anni, colpito con un proiettile alla schiena nella notte tra il 2 e il 3 febbraio scorsi a Roma. Un destino atroce: i due uomini che gli hanno sparato, poi arrestati, lo avevano scambiato per un’altra persona. Il proiettile ha perforato un polmone e generato una lesione completa del midollo provocando la paralisi delle gambe. Che Manuel fosse di una stoffa speciale lo si era capito subito, appena ha ripreso a parlare in ospedale, facendo forza ai genitori e alla sorella, ma anche agli amici e alle persone sconosciute che lo andavano a trovare, colpite dalla notizia, anche solo per un saluto.

Una tempra forte dimostrata anche nelle scelte di vita all’insegna del sacrificio: da Treviso, dove risiede la famiglia, si era trasferito al Centro federale di Ostia, con l’obiettivo raggiungibile di diventare un nuotatore professionista. Ma a colpire in questa storia è stata anche la reazione all’atto criminale: mai una parola di odio o di vendetta, dai familiari e da Manuel. «Non meritano la mia rabbia quelli che mi hanno sparato. In fondo poteva andarmi peggio, no? Sono vivo, questo è l’importante. Tornerò a camminare, ne sono sicuro, una volta fuori da qui recupererò le forze» ha detto il nuotatore dal letto dell’ospedale.

In questi tempi segnati dal rancore e dalla ricerca di un nemico, non c’è niente di più spiazzante di quel «non meritano la mia rabbia», parole che degradano i due criminali più di un insulto. Una testimonianza di forza morale e di maturità umana che va ascritta al carattere del giovane ma anche all’educazione ricevuta in famiglia (né dai genitori né dalla sorella sono state mai espresse parole prevedibili). Educare significa tirare fuori e il papà e la mamma di Manuel sono riusciti a tirare fuori dal figlio le qualità che ha dimostrato in questo mese. Le immagini che lo ritraggono nel tratto finale della nuotata sono state riprese nella piscina dell’ospedale Santa Lucia di Roma, specializzato in neuroriabilitazione di traumi come quello subìto dal giovane nuotatore, che su Facebook, nella pagina «Tutti con Manuel», ha postato il video con il messaggio «Finalmente sono tornato in acqua. Un’emozione bellissima».

Ma la vicenda di questo giovane nella sua eccezionalità dice anche altro. Innanzitutto fa giustizia di un luogo comune secondo il quale le nuove generazioni sono «sdraiate», dedite soltanto alla ricerca di un divertimento facile, viziate e immature. Come tutti i luoghi comuni pure questo ha la tara della generalizzazione. Ci sono migliaia di giovani costretti a emigrare per trovare un lavoro adeguato che non svalorizzi anni di studio. Partono soli, spesso senza la certezza di un posto e per mete anche lontane (l’Australia è tra le preferite), vincendo timori e fragilità. Pagano gli errori degli adulti che non hanno saputo aggiornare il Paese, nel quale contino meritocrazia, conoscenza e desiderio di intraprendere.

C’è chi va all’estero mosso da un ideale, come il giornalista radiofonico Antonio Megalizzi, 28 anni, ucciso nell’attentato islamista a Strasburgo l’11 dicembre scorso. Era impegnato nel progetto di una radio che racconta cosa è l’Europa e il suo funzionamento, per fare breccia nell’ignoranza che caratterizza il tema. Dopo la morte i sovranisti da tastiera lo hanno irriso, scrivendo che «se l’era cercata». Barbarie. L’Italia deve investire su questi giovani che fanno notizia solo quando gli accade qualcosa di grave: hanno creatività, intelligenza, resistenza e lo sguardo lungo. Qualità che oggi nella classe dirigente del nostro Paese scarseggiano.

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