I guai legali dei Renzi
Il leader nell’angolo

In queste ore la vicenda degli arresti domiciliari dei genitori di Matteo Renzi e quella del voto sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini stanno riproponendo il tema, ahinoi inesauribile, del rapporto tra la politica e la magistratura in Italia. Rapporto, come è noto, controverso. In entrambi i casi i magistrati hanno «toccato» la politica che ha reagito come ha potuto. Nel caso di Salvini, sia pure con molte lacerazioni nel M5S, è stato vietato ai giudici di indagare il ministro dell’Interno perché questo avrebbe significato riconoscere alla magistratura il diritto di sindacare una decisione politica del governo (nel caso specifico impedire per dieci giorni lo sbarco di 170 migranti dalla nave «Diciotti» della Guardia Costiera). Insomma, è stato un invito ai giudici a non debordare dal loro confine.

Nel caso invece di Matteo Renzi abbiamo visto improvvisamente aprirsi ancora una volta il panorama cui siamo stati abituati dai tempi di Tangentopoli in poi, e soprattutto nell’era berlusconiana: polemiche sull’uso strumentale dello strumento giudiziario, accuse ai magistrati di orchestrare una «giustizia ad orologeria», sospette fughe di notizie, ecc. Matteo Renzi è stato ben attento a non parlare di «complotto» (come invece ha fatto tante volte in passato Berlusconi) e ha ripetuto le solite espressioni di rispetto verso l’azione dei giudici; ma ha anche aggiunto che «se lui non avesse fatto politica sui suoi genitori non sarebbe stato gettato tanto fango». Che è poi un modo diverso di dire che i giudici devono stare alla larga dalle strumentalizzazioni politiche.

Del resto, la decisione degli arresti domiciliari per i due genitori settantenni e incensurati, apparsa smisurata a molti, è avvenuta in contemporanea sia con il ritorno sulla scena di Renzi (per presentare il suo ultimo libro ha ricominciato a battere l’Italia tenendo assemblee in verità molto affollate); sia proprio con il voto on line dei grillini sul caso Salvini. E per questo Renzi ha parlato di «capolavoro mediatico»: voleva dire che secondo lui qualcuno ha deciso di arrestare i suoi genitori proprio nel giorno di massima incertezza per la maggioranza di governo e per il M5S, così da diluirne il clamore sui media. In effetti, è proprio quel che è accaduto: ieri mattina sui giornali campeggiava più il nome di Renzi che quello di Salvini o di Di Maio.

Per tutte queste ragioni l’ex presidente del Consiglio si sente ancora una volta nel mirino di chi lo vuole annientato, e i suoi fedelissimi – rilanciando tweet furibondi – hanno dato l’impressione di sentirsi accerchiati. La solidarietà degli altri leader del Pd, a cominciare da Nicola Zingaretti e Maurizio Martina, si è limitata al lato umano e personale della vicenda, senza però che una sola parola fosse detta sulle conseguenze politiche dell’accaduto. In tutti questi mesi nessuno ha veramente capito le intenzioni di Renzi. Ha fatto dire che era pronto ad uscire dal Pd per fondare un partito tutto suo e contemporaneamente ha prima costruito e poi smontato la candidatura di Minniti alla segreteria. Ha giurato che avrebbe fatto il senatore semplice ma non ha rinunciato a tenere appeso il partito e la sua stessa corrente alle sue decisioni. Ha messo in piedi in tutta Italia comitati di fedelissimi con obiettivi non chiari. Insomma, ha girovagato un po’ qui e un po’ là senza una vera linea. Certo però che se ora Renzi aveva deciso di rimettere fuori la testa, questa vicenda dei genitori sembra fatta apposta per rinchiuderlo tra quattro mura.

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