I lavoratori introvabili
Paradosso italiano

Le industrie cercano personale e non lo trovano.È un paradosso per un Paese con una disoccupazione che viaggia verso l’ 11%: 280 mila sono i lavoratori per i prossimi cinque anni che l’ industria italiana deve cercare e che fatica a trovare. Stiamo parlando di figure professionali non generiche, ingegneri tecnici, ingegneri gestionali, meccanici e chimici con preparazione informatica e soprattutto con capacità di interagire e di muoversi con flessibilità nei vari comparti. È la rivoluzione di industria 4.0 nei settori che sono la struttura portante del Paese, seconda manifattura d’ Europa .

Meccanica, agroalimentare, chimica, farmaceutica, Itc, moda, design e arredamento sono i settori di punta che devono adeguare i cicli produttivi al mercato soprattutto tedesco in ragione della forte integrazione nella catena di lavoro delle multinazionali a nord del Brennero. Questo spiega gli sviluppi simili e complementari dei due sistemi industriali. Nella vecchia industria il cambio delle figure professionali avveniva ogni venti anni ed in modo graduale adesso tutto avviene nell’arco di tre, massimo cinque anni. Il che costringe a programmare per tempo perché formare i giovani non è cosa che si fa in un batter d’occhio. Ci vuole programmazione e capacita di adattamento. E è quello che è accaduto. Nonostante una crisi che dura ormai da più di dieci anni l’ ultimo rapporto, l’ undicesimo annuale di Intesa Sanpaolo , conferma la validità del modello produttivo italiano. Le imprese dei distretti a fronte della sfida industria 4.0 sono cresciute più della media sia a livello di fatturato che di brevetti e si trovano in vantaggio in termini di ricavi del 10%. All’ Ufficio brevetti europeo di Monaco di Baviera Siemens è al primo posto ed ha superato la cinese Huawei e le italiane non sono tra le prime dieci e tuttavia nulla toglie ai progressi della ricerca italiana perché si misura per piccole e medie aziende e quindi non su grandi numeri come per le multinazionali.

La globalizzazione, le nuove tecnologie digitali, le grandi produzioni di massa, i network sempre più allargati, il costo del lavoro più basso della concorrenza non hanno danneggiato le imprese che lavorano in termini di prossimità fisica territoriale anzi hanno costituito uno stimolo per aumentare la competitività. Lo testimoniano i 90 miliardi di dollari di avanzo commerciale della manifattura italiana, di questi 79 vengono proprio dai distretti. Al centro di questo sviluppo è il distretto bergamasco del Sebino nella gomma, un’area che ha colto le tendenze di mercato dell’ automotive e si è adeguato. L’ industria sta quindi facendo nei suoi settori di punta la sua parte ma è minoranza nel Paese e quindi non incide in modo determinante nelle politiche di governo. Questo spiega il ritardo della scuola e del settore formativo professionale nel generare le nuove leve funzionali alla nuova sfida tecnologica.

Ma vi è anche un altro problema. Le statistiche dicono che molti posti di lavoro restano scoperti perché considerati non appetibili. Face4Job è un portale che incrocia domande e offerte di lavoro. Da una loro indagine risulta che a fronte di circa 3 milioni di disoccupati ufficiali vi sono circa un milione di posti disponibili. Il che non si fa fatica a crederlo perché è nella esperienza quotidiana di ognuno verificare che i lavori cosiddetti più umili vengo accettati e esercitati per lo più da stranieri. Già l’odiata Fornero l’ aveva detto: i giovani italiani sono diventati troppo «choosy», cioè schizzinosi, Tommaso Padoa Schioppa li aveva chiamati bamboccioni. Coperti di improperi, avevano entrambi un peccato d’origine: non erano politici.

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