I nostri anziani
e le nuove sfide

Qualche anno fa la Comunità di Sant’Egidio pubblicò un libro con un titolo evocativo: «La forza degli anni». Ma oggi al tempo di Covid-19 e di quella lunga drammatica lista di anziani morti è il sottotitolo di quel volume che fa riflettere: «Lezioni di vecchiaia per giovani e anziani». Dalla pandemia abbiamo per lo meno imparato che non si può perdere la memoria di una generazione e la Comunità di Sant’Egidio ancora una volta sceglie la prima fila di tanto dolore e lo inchioda in cima alle preoccupazioni di tutti. Sono poche parole contenute in un appello «Senza anziani non c’è futuro» che sta raccogliendo migliaia di firme autorevoli e di semplici cittadini in tutto il mondo, cruciale per disegnare una nuova società civile e un modello più efficace di sanità e di assistenza. Il professor Andrea Riccardi è andato a presentarlo a Papa Francesco, che all’Angelus della festa dei Santi Pietro e Paolo ha ammonito a non lasciar soli gli anziani e considerarli «materiale di scarto».

Bergoglio più volte ha parlato dei «nonni» con efficacia e con il sorriso. Ma questa volta il suo volto era preoccupato dai numeri degli anziani spariti per via della pandemia, un«dramma dei nostri tempi». L’appello di Sant’Egidio invita a considerare una via diversa da quella delle residenze per assistere gli anziani, puntando sull’assistenza domiciliare, quel welfare di prossimità che cura anche i rapporti personali con rispetto e tenerezza per apprezzare meglio «la forza degli anni». Sant’Egidio conosce bene la materia. La Comunità da sempre si occupa degli anziani dimenticati e li rimette al centro anche del volontariato. A Roma un’anziana novantenne ogni giorno a casa fa coperte di lana con i ferri per i senza tetto che dormono per strada.

È un modo per uscire dalla solitudine. Se gli anziani vengono posteggiati in residenze seppur dorate tutto è più difficile. L’altissimo numero di vittime tra gli anziani in istituto è inaccettabile. Già prima della pandemia le case di riposo generiche non andavano bene. Una volta c’erano gli ospizi, diventati spesso luoghi di abbandono e di sofferenza aumentata. Negli anni Settanta molto si era discusso e proposto sul tema dell’assistenza domiciliare con esperienze positive da parte di quello che sarebbe diventato il Terzo settore, il non profit accanto alle sofferenze. Poi tutto è cambiato e gli anziani sono diventati un investimento senza rischio. Aumentano e si ammalano, hanno fragilità che le famiglie non possono e spesso non vogliono affrontare. Si chiama «investimento anticiclico», cioè sicurissimo.

Oggi in Italia si contano più o meno 7 mila residenze per 250 mila anziani, un arcipelago indistinto con eccellenze e criticità e a volte gravi carenze note solo quando finiscono sui giornali. Sono 1.271 le imprese nelle Rsa, oltre la metà profit e 51 fondi immobiliari traggono dagli affitti rendimenti del 7 per cento l’anno. Quasi tutto è privato, modello americano trasferito in Europa con un sistema di accreditamento che ci costa moltissimo, quasi il doppio delle pensioni per la stessa fascia di popolazione anziana. Eppure solo il 25 per cento degli anziani non autosufficienti vive nelle Rsa, perché i costi sono troppo elevati e gli imprenditori scaltri. Quando il Papa denuncia la cultura dello scarto tocca un tasto cruciale, che Mario Giro, ex viceministro degli Esteri ed esponente di punta della Comunità di Sant’Egidio definisce «un’aberrazione culturale»: «L’utilitarismo applicato alla sanità». Al primo posto c’è l’utile e non la cura. Così anziani con fragilità gestibili a casa finiscono all’ospizio, perché nessuno aiuta le famiglie, che pagano o paga lo Stato. Il welfare preferisce spendere in accreditamento piuttosto che in assistenza domiciliare. E fallisce: non risparmia, non aumenta l’efficienza, non salva.

Una volta si diceva che chi finisce all’ospizio muore prima, scarti, come i matti nei manicomi o i bambini negli orfanotrofi. Ma quelli sono stati superati con un nuovo modello di welfare più dignitoso e rispettoso delle vite fragili. La pandemia ha posto il problema, che Sant’Egidio ha colto: si può curare senza privare degli affetti e soprattutto senza «medicalizzare» vite solo un poco più caduche perché si tratta di un ottimo investimento?

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