I vandalismi dei ragazzini. Serve la buona socialità alla luce del sole

«Mi chiedo perché si comportino così». Nel commento sconsolato di Lucio De Luca, sindaco di Azzano San Paolo oltre che vicepresidente dell’Anci regionale, si riassume tutto lo sconcerto per il ripetersi a catena di episodi di vandalismo ad opera di ragazzini in tutto il territorio della provincia. Quasi mille denunce in tre mesi, per un fenomeno diffuso che non risparmia nessun paese. Le dinamiche si ripetono quasi in fotocopia: attacchi a luoghi pubblici lontani da occhi indiscreti (per questo i parchi di notte sono gli obiettivi più frequenti), vandalismi alla cieca, abbandono di rifiuti.

Sono gesti che vanno a colpire «beni di tutti», di cui con ogni probabilità gli stessi responsabili di questi atti scriteriati hanno usufruito fino al giorno prima. Davvero difficile capire perché si comportino così. Ed è pure difficile abbozzare qualche analisi sociologica per un fenomeno che non esprime nessuna voce o ragione, che non mira a nessun obiettivo calcolato, ma sceglie l’obiettivo più facile e a portata di mano. Quanto ai rischi sono sempre minimi, perché la minore età è sempre un bello scudo di impunità.

A voler cercare qualche logica dietro il ripetersi di questi gesti, si può sottolineare come il fattore costante sia l’agire in gruppi: i vandalismi rappresentano il linguaggio selvaggio attraverso il quale si esprime questo stare in insieme, magari come reazione all’isolamento forzato subito nelle lunghe settimane del lockdown. È una forma di affermazione del proprio «esserci», dopo l’isolamento e in tanti casi l’apatia della costrizione casalinga. Lo stare insieme scatena istinti di ribellione che per mesi sono stati forzatamente «ingabbiati» e che emergono come fattore comune nel momento in cui ci si trova di nuovo in gruppo. Non so se questa possa essere una fragile e parzialissima motivazione di quanto sta accadendo, certamente si tratta di una questione che merita un approfondimento.

Il tema è quello della rigidità con cui sono stati regolati tutti i momenti sociali nella seconda e terza fase dopo il lockdown. Una rigidità dettata da ragioni più che plausibili di prudenza, vista la drammatica esperienza collettiva vissuta nella scorsa primavera. Tuttavia il bisogno di socialità delle persone non può essere troppo a lungo tenuto sotto guinzaglio, pena il vedere esplodere forme in cui quello stesso bisogno si esprime in forme fuori controllo e quasi con spirito antagonistico.

Il tema che andrebbe messo sul tavolo è quello di favorire forme buone di socialità per le quali vale la pena anche prendersi qualche rischio rispetto alle strategie di controllo del virus. Per restare sul tema dei ragazzini, veniamo da un’estate in cui ogni forma di esperienza comune regolata da modelli educativi è stata resa di fatto impossibile. Gli oratori estivi sono stati vissuti come delle gimkane tra mille regole, con giornate impostate come veri palinsesti dominati dall’ansia. Poco conta che le cose siano andate nei fatti in modo molto più ordinato e lineare: di fatto ha pesato un condizionamento a priori che ha fatto prevalere la pressione organizzativa sul gusto dello stare insieme. Il rischio è che i momenti di socialità vengano percepiti come momenti regolati all’eccesso, e chi li vive si sente nuovamente, anche se diversamente, ingabbiato. Siamo alla vigilia dell’inizio della scuola. Si riparte tra mille legittime preoccupazioni, con protocolli da far venire il mal di testa. Giusto partire prudenti. Ma poi anche la scuola dovrà recuperare quella dimensione dello stare liberamente insieme, che è una delle componenti insostituibili di ogni avventura educativa. Liberamente insieme non trincerandosi in qualche parchetto ma alla luce del sole e davanti allo sguardo di tutti.

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