II low cost e il futuro di un Paese senza regole

ITALIA. Com’era quell’adagio sulla grande confusione sotto il cielo? Ecco, in quello del Belpaese la situazione è tutto tranne che eccellente. E probabilmente non è nemmeno un caso che due ataviche questioni come il futuro della fu compagnia di bandiera e lo strapotere dei vettori low cost (conquistato sul campo, anno dopo anno) arrivino quasi a sovrapporsi.

Cominciamo con Ita che, ci sia permesso il gioco di parole, non se n’è ancora ita... Il matrimonio (facciamo incorporazione che magari suona peggio ma è più oggettivo) con Lufthansa è sempre lì a un passo, ma le questioni da risolvere sono ancora parecchie. Sorvolando, in ogni senso, sui futuri assetti di un traffico nazionale destinato a passare in mano tedesca con riflessi anche negli scenari aeroportuali, si resta in attesa del placet dell’Ue. Anche se Michael O’Leary, mister Ryanair, non ha dubbi sul fatto che alla fine il semaforo verde arriverà perché la Germania lo vuole. E vuole anche il mercato italiano per alimentare il suo hub, Francoforte.

Mercato italiano che, dati Iccsai del rapporto 2022, è per il 65,1% in mano a vettori low cost a fronte di una media europea del 40,8. Un dato che risente palesemente della reiterata assenza (o di una presenza in stato precomatoso quando c’era...) di una compagnia di bandiera. Confermato anche da quello del mercato europeo (compresa la parte domestica) dove la quota italiana di low cost scende al 64,5. Ma a fronte di una media europea del 49,5%.

Questo vuol dire che la rivoluzione del trasporto aereo è semplicemente compiuta e ormai da tempo: i vettori low cost rappresentano la metà del mercato di chi si sposta in Europa. Il problema è che il fenomeno si è sviluppato senza alcuna forma reale di regolamentazione che non fosse l’influenza delle compagnie di bandiera «forti» nel fermare l’avanzata sul mercato (soprattutto) domestico della varie Ryanair, EasyJet e Wizzair. Ma un conto è stato farlo in Francia o Germania, dove per le tratte interne si è giocato anche di sponda con colossi ferroviari come Sncf e Db, un altro in Italia, dove l’avanzata dei vettori low cost è stata molto più decisa e sostanzialmente è mancato l’argine di una politica nazionale sul trasporto aereo. Che non è mai andata oltre la difesa strenua di Alitalia (e degli interessi connessi) in quanto tale. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Quella stessa politica che ora scopre l’esistenza di un sostanziale oligopolio nel settore e cerca di frenare la situazione con provvedimenti che appaiono di difficile attuazione. Sorvoliamo (anche qui in ogni senso) sugli atteggiamenti guasconi di O’Leary e concentriamoci su un sistema che finora si è sviluppato senza regole né tempi né indicazioni certe sia sul versante delle compagnie che delle infrastrutture. Leggi aeroporti, dove per avere un via libera (o anche un diniego) a un piano di sviluppo serve un iter di anni e anni e dove alla fine la sola regola è diventata quella del mercato. Nudo e crudo. Difficile arginarlo con provvedimenti dirigistici come appare il decreto blocca tariffe.

Attenzione, qui non è in discussione la ratio del provvedimento quanto la sua concreta applicazione, tanto più in un sistema dove per decenni si è rinunciato a regolarizzare un fenomeno dalla portata oggettivamente storica come i vettori low cost, spesso bollati alla stregua di voli di serie B o di un fenomeno transitorio, quasi di moda. Ecco, decollo dopo decollo, ora hanno in mano quasi due terzi del mercato italiano e quindi anche i destini di un sistema economico e sociale. E se restano a terra, realisticamente, anche il Paese li segue. Un motivo in più per presentarsi a qualsiasi tavolo di confronto non con il cappello in mano e nemmeno armati, ma possibilmente con un strategia, una visione del trasporto aereo (e non solo) che vada al di là dei destini della fu Alitalia, ora Ita, e degli interessi che vi girano intorno. Un’idea di futuro, insomma: qualcosa di più che un semplice decreto.

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