L’Italia spende poco
i fondi dall’Europa

Nel solo 2017 l’Italia ha versato 13,8 miliardi di contributi europei e ha avuto un ritorno di 9,5 miliardi con uno squilibrio di 4,3 miliardi. Ogni cittadino italiano è in credito con l’Unione europea di 39 euro. L’Italia è un Paese fondatore ed è contributore netto. Ogni Stato dell’Unione europea è tenuto a versare a Bruxelles un contributo calcolato su varie voci, per esempio reddito nazionale lordo, dazi doganali, un’aliquota Iva ecc. È un impegno scritto nei Trattati. Minacciare unilateralmente di ridurre la propria quota comporta la violazione del diritto internazionale e il pagamento di interessi di mora per il 2,5% sulla somma dovuta, più lo 0,25% per ogni mese di ritardo.

Il principio di fondo è che i più forti devono aiutare i più deboli, ovvero le economie arretrate ed in ritardo. I contributori netti della Ue sono Germania, Francia, Italia Olanda e Belgio, lo era anche la Gran Bretagna prima della Brexit. L’ Italia è un Paese forte. Ha un avanzo di bilancio al netto del pagamento degli interessi, ha un surplus nell’export secondo solo a quello tedesco, ha tanti risparmi. Secondo i dati pubblicati dalla Banca d’Italia, a fine 2017 le famiglie italiane dispongono di 9.743 miliardi di euro, 8 volte il loro reddito disponibile. Il problema è che il Paese si percepisce debole e tende a scaricare sull’Europa la propria insicurezza.

È un riflesso condizionato che nasce da decenni nei quali si è riversato sulla cosa pubblica tutta l’inefficienza possibile per poter ricavare il proprio particolare interesse individuale, di famiglia e di gruppo. Ha funzionato fino ad accumulare un debito pubblico insostenibile. Le finanze dello Stato stanno ancora in piedi solo perché la Bce compra titoli della Repubblica italiana. Ecco il motivo per il quale il premier olandese Mark Rutte rivendica nell’intervista ad un giornale italiano il diritto/dovere dell’Italia di poter fare da sola, ovvero di imparare a farlo. Di questo si tratta perché nell’arco dei sette anni dal 2014 al 2020 la Repubblica italiana ha potuto disporre di 42,7 miliardi che uniti a 30,9 miliardi di co-finanziamento nazionale, significano 73,6 miliardi da investire in programmi di crescita, tutela dell’ambiente, agricoltura, miglioramento della produttività complessiva del sistema. Di queste somme è stato speso il 30%. L’Italia è il Paese Ue , dopo la Polonia che percepisce di più da Bruxelles , ma è anche il sestultimo per capacità di spesa. Uno spreco inammissibile per chi piange continuamente miseria.

Va detto che progressi sono stati fatti. Dall’1% di spesa sostenuta del 2015 al 30% del 2020 è un bel passo avanti. Ma se poi andiamo a vedere, la Corte dei Conti nella relazione del 2018 denuncia che l’incapacità progettuale e gestionale degli operatori è la causa prima dei ritardi. A conferma che il vero problema è la qualità degli amministratori pubblici, più ancora delle procedure già di per sé bizantine. Si conferma il problema di sempre: la selezione del personale della pubblica amministrazione. L’Autorità anticorruzione in questi giorni ha riferito come il valore delle mazzette diventi sempre più basso. A volte per soli 50 euro, ci si corrompe anche per un abbacchio. Il problema è uno e uno solo ed è quello che permette a gente come il primo ministro olandese Rutte di impartire lezioni. Gli olandesi fanno dumping fiscale, sottraggono miliardi di tasse, hanno un debito privato record ma i soldi pubblici li sanno amministrare. Ecco perché hanno conti in ordine e fan la voce grossa. A livello internazionale conta la capacità di essere comunità coesa. È la legge del contrappasso per chi nella terra del Guicciardini pensa solo al proprio «particulare».

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