Il baratto corruttivo
Le ombre su 20 anni

Dunque per Roberto Formigoni si stanno per aprire le porte del carcere. La Corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna per corruzione che gli era stata inflitta a settembre 2018 dalla Corte d’appello di Milano per il caso Maugeri, riducendo la pena a cinque anni e dieci mesi di reclusione per gli effetti della prescrizione. «Paura di finire in cella? Nemmeno un po’. Se però mi fermo a pensarci, divento pazzo», aveva detto il «Celeste» (il soprannome gli veniva dal suo ostentato, olimpico distacco per qualunque accusa lo riguardasse, anche se non si sa cosa provasse in realtà dentro).

Formigoni aveva rivelato quel che prova un uomo, qualunque uomo, di fronte all’eventualità di finire in una cella. Il verdetto è arrivato dopo poco più di tre ore di Camera di Consiglio e la dura requisitoria del procuratore generale della Cassazione Luigi Birritteri, che ha sottolineato l’«imponente baratto corruttivo» che ha visto l’ex governatore della Regione Lombardia tra i protagonisti.

Secondo la sentenza confermata dai giudici della Cassazione Formigoni avrebbe ricevuto l’uso esclusivo di yacht, l’acquisto di parte di una villa e altri benefit (per un valore totale di 6,6 milioni) in cambio di vantaggi per due strutture sanitarie che in un decennio si sono assicurate ingenti finanziamenti (120 milioni il San Raffaele e 180 milioni la Maugeri). Ora attendiamo le motivazioni dei giudici del Palazzaccio per valutare meglio la sentenza. Ma qualcosa, nel rispetto dell’operato della magistratura, si può già dire.

Il verdetto getta inevitabilmente ombre su quasi vent’anni di guida dell’amministrazione regionale del governatore. Un ventennio in realtà tutto sommato positivo, pur tra gli alti e bassi. Ma questa è una valutazione che spetta agli storici della Seconda Repubblica, più che ai magistrati.

Ma c’è qualcos’altro che si può affermare nel rispetto della sentenza, se ancora abbiamo conservato un minimo di senso del garantismo, soprattutto quando vediamo un uomo potente cadere nella polvere. Formigoni, che ha la bellezza di 71 anni, dovrà andare in carcere senza godere dei benefici penitenziari, a partire dalla detenzione ai domiciliari prevista per gli ultrasettantenni, perché questa è stata esclusa per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione (come la corruzione) dalla nuova cosiddetta legge «spazzacorrotti» varata dal governo della Lega e dei Cinque Stelle, che l’hanno fortissimamente voluta e ne hanno fatto una bandiera. Una norma che mandando gli ultrasettantenni corrotti in galera ha equiparato un reato contro la pubblica amministrazione a quello di un delinquente spacciatore recidivo, o uno sfruttatore di prostitute o ancora un mafioso che mette le bombe sull’autostrada.

Formigoni è uno dei pochissimi che con una pena di cinque anni finisce in cella. Non potrà essere affidato ai servizi sociali (come avvenne per Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale), non ha la possibilità di usufruire di pene alternative alla detenzione, come l’assegnazione al lavoro esterno, o di permessi premio.

L’ultima parola spetterà in ogni caso al magistrato della procura milanese con il compito di rendere esecutiva la pena. Il quale, in teoria, potrebbe interpretare la nuova norma che impedisce le misure alternative come non applicabile a reati precedenti la sua entrata in vigore. Tesi però minoritaria tra gli addetti ai lavori e i giuristi.

Il caso Formigoni, un settantenne che dovrà affrontare la durezza della realtà carceraria, diventerà il simbolo di questa legge varata sull’onda del populismo penale.

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