Il braccio di ferro su gas e tassi d’interesse

Tenere basso il tasso di interesse è per l’Italia la priorità numero uno. Il governo Draghi ha capito qual è la prima necessità nazionale e cerca
di coniugarla con le aspettative dei partner europei e degli alleati.
La crisi energetica si somma all’inflazione e poi c’è il rischio recessione. A Elmau in Baviera al vertice del G7 Mario Draghi ha dalla sua parte il presidente americano. Agli americani di qualsiasi amministrazione in genere un’Unione Europea a guida germanica è sempre stata un pugno in un occhio.

Troppo forte il rischio di veder crescere un alleato in grado di contendere l’egemonia anglosassone nel mondo. Draghi lo sa e conta su una dimensione empatica con il presidente americano. L’ex presidente Bce ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire opporsi ai voleri della prima potenza economica d’Europa. Un dominio che, prima la pandemia, poi le forniture tuttora ritardate dei prodotti vitali per l’industria tedesca e adesso la guerra in Ucraina e la dipendenza dal gas russo mettono a rischio. Dice il ministro verde all’Economia Robert Habeck: «A molti non è chiaro che la problematica del gas è molto peggio della pandemia». E questo spiega perché all’ultima riunione del Consiglio Europeo del 22 e 23 giugno alla richiesta italiana di un tetto al prezzo del gas russo sia stato risposto con un garbato aspettiamo a settembre.

Si teme che ad un’imposizione di un prezzo intermedio tra le quotazioni di prima della guerra e quelle stratosferiche attuali la Russia reagisca con una definitiva chiusura dei gasdotti. Sostanzialmente Bruxelles direbbe a Mosca noi siamo compatti nel dire no al ricatto e diciamo di voler trattare sul prezzo in modo tale che sia i clienti che i fornitori ne abbiano vantaggio. Se la Russia reagisse con un arroccamento sarebbe il disastro economico per entrambe le parti. A quel punto vince chi tiene duro più a lungo.Chi ha più da perdere in un simile braccio di ferro? L’economia più forte avrebbe i maggiori scompensi. Putin ha ridotto le forniture di gas alla Germania del 50% e fatto sentire all’industria tedesca cosa vuol dire avere l’energia razionata. Per i russi andrebbero in fumo i cento miliardi che ricavano da una riduzione intenzionale della fornitura e dalla conseguente lievitazione dei prezzi. La capacità di resilienza russa è nota e quindi non è detto che Mosca debba venire a miti consigli. Ma rimarrebbe il dato politico. L’Europa non si piega.

Nel frattempo l’Italia ha ridotto la dipendenza dal gas russo dal 40% al 25% e gli stoccaggi vanno molto bene. Anche per l’Italia un embargo russo non sarebbe una passeggiata. Rimarrebbe però un grande vantaggio: l’impennata dei prezzi calerebbe e con essa l’inflazione. Gli aumenti che si registrano nei beni di consumi sono da ricondursi, secondo la Banca Centrale Europea, per il 40% al costo dell’energia. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha reso noto che per il 70% delle merci presente nell’indice dei prezzi l’impennata dei costi energetici è determinante. Se non si incide sull’import di gas e petrolio l’altra arma che resta per la lotta all’inflazione è il rialzo dei tassi d’interesse.

Cosa che la Bce fa a partire da luglio ma che per l’Italia è come veleno perché fa lievitare il costo del debito e toglie risorse per il rilancio dell’economia. Proprio quello che Draghi non vuole e che invece i tedeschi a partire dal ministro delle Finanze Christian Lindner auspicano vivamente. L’obiettivo è chiaro: dare una regolata ad un Paese che ha un grande debito e spinge verso i titoli di debito emessi da Bruxelles cioè i cosiddetti eurobond. La vera partita si gioca su questo scacchiere e Roma ha buone carte per dare un contributo alla delimitazione del prepotere tedesco in Europa.

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