Il cuore solidale del Paese nell’accoglienza ai profughi. Tragedia vissuta in diretta

Verso l’uscita dalla pandemia un po’ malconcia dal punto di vista del clima sociale, l’Italia incattivita dal virus mette in mostra un’altra faccia nella risposta alla tragedia ucraina, solidale e aperta. I profughi scappati dall’invasione russa e accolti nel nostro Paese sono finora 50.649, in maggioranza desiderosi di rimpatriare quando ci saranno le condizioni. Ma il piano del governo ne prevede 700mila, se il flusso dovesse continuare al ritmo attuale. Resta infatti la grande incognita della durata del conflitto, variante decisiva.

I fuggiaschi sono 200mila in Germania, 15mila in Francia e 270mila nella Repubblica Ceca. O meglio le fuggiasche, trattandosi di mamme con figli minori. Gli ucraini già presenti sul nostro territorio erano 220mila prima della guerra, in netta maggioranza badanti che ci hanno permesso di conoscere lo Stato d’origine attraverso i loro racconti. È presso queste donne che molte profughe hanno trovato accoglienza per via di legami parentali. Il resto dell’ospitalità avviene grazie a luoghi messi a disposizione da Comuni, associazioni del volontariato, enti religiosi e parrocchie. La novità è però rappresentata dalle migliaia di famiglie italiane (anche bergamasche) che hanno concesso appartamenti o spazi della casa in cui risiedono per dare un tetto a questa umanità giovane e ferita. I fattori che hanno determinato l’apertura sono molteplici: uno spirito solidale, la vulnerabilità degli accolti (mamme con figlioletti trasmettono un bisogno di protezione, gli uomini sono 6mila, soprattutto anziani), un conflitto a noi vicino che è entrato nelle nostre residenze con la sua brutalità grazie alle immagini (il 50% degli italiani si informa ancora tramite la tv) tambureggianti di città e villaggi devastati, di vite ridotte alla sopravvivenza nei bunker tra fame freddo, di fughe pericolosamente avventurose. Uno choc che ha dato vita anche a un percorso inverso: l’invio in Ucraina di grandi quantità di aiuti umanitari per sfollati interni e luoghi sotto assedio.

Aprire la propria la casa a chi ci è straniero è un grande gesto di generosità, che fa crescere l’umanità di chi lo compie senza compensi. Il governo ha predisposto un piano con un finanziamento di 400 milioni, un quarto destinato ai servizi sanitari, il resto per il sistema dell’istruzione per permettere ai minori ucraini di proseguire l’anno scolastico. Venerdì è stato invece approvato un decreto di 30 milioni destinati a contributi diretti per 60mila profughi ospitati nelle abitazioni e per 15mila dal non profit. Chi accoglie in casa lo farebbe anche senza compensi ma i fondi tendono a incentivare questo genere di risposta. Andrebbero semplificate le procedure burocratiche, in particolare per l’accoglienza di minori che arrivano dall’Ucraina soli, trovando un equilibrio fra le necessità di dare garanzie e il contrasto delle tempistiche incompatibili con l’urgenza di protezione. Nel Paese invaso dalle truppe russe ci sono 96 istituti con 100mila orfani. Il governo invece non ha motivato la bocciatura di un ordine del giorno della Lega per semplificare le procedure di adozione e affido di chi è senza genitori.

Infine un tema che riguarda l’Europa. La guerra nell’ex Repubblica sovietica entra nelle nostre case grazie all’opera meritoria di giornalisti e cameraman sul campo (5 sono stati già uccisi in quattro settimane di combattimenti), a conferma che l’informazione tradizionale ha ancora un valore, pure di sensibilizzazione. Ma nel mondo esistono altri conflitti, non più raccontati. Il diritto d’asilo non viene rispettato da Stati dell’Unione. Così assistiamo silenti alla morte per freddo di decine di afghani e siriani bloccati nelle boscaglie tra Bielorussia e Polonia o lungo il confine che separa la Turchia dalla Grecia. Luoghi dove la presenza di cronisti è bandita: lì accadono atrocità che non si devono vedere.

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