Il difficile equilibrio fra tecnici e politici
per scrivere a Bruxelles

Entro la settimana il governo italiano dovrà (dovrebbe) inviare una lettera ufficiale alla Commissione europea per rispondere alla richiesta di procedura di infrazione per debito eccessivo che a Bruxelles hanno formulato e sottoposto al vaglio dei governi. Questa lettera, nelle intenzioni di Giuseppe Conte che la firmerà (sempre che la cosa non rientri) è, da una parte, rassicurare l’Europa sul fatto che i nostri conti pubblici sono sotto controllo nonostante quel che dicono i tecnici di Palais Berlaymont; dall’altra, rallentare il più possibile la procedura sperando che essa venga alla fine valutata da una nuova Commissione.

Chi ha studiato la tempistica europea sostiene che quest’ultima speranza è abbastanza illusoria, senza contare che è ben difficile che i successori di Juncker, Dombrovskis e Moscovici siano più malleabili: i nuovi vertici europei saranno decisi con un compromesso tra popolari, socialisti e liberali, e tra tedeschi francesi e spagnoli, ed è previsione comune che non verrà modificata la linea sin qui tenuta di rispetto del Fiscal Compact e dei parametri comunitari. Del resto, basta guardare l’arco dei Paesi partner per capire che in questo momento l’Italia non ha una sponda su cui giocare: né del Sud Europa (spagnoli e portoghesi sono allineati a tedeschi e olandesi) né tantomeno del Nord, senza contare che i «sovranisti», a cominciare da austriaci, polacchi e ungheresi, sono i più risoluti nel pretendere disciplina dall’Italia. E questo ci spiega che le rassicurazioni di Conte (e del ministro Tria) non dovrebbero sortire un apprezzabile effetto. Anche perché gli unici due esponenti del governo italiano che si siedono al tavolo europeo non hanno alle loro spalle un consenso politico dai partiti che compongono la maggioranza, anzi.

Lega e Cinque Stelle in questi giorni stanno facendo a gara nel mettere sul piatto nuove misure di spesa da inserire nella prossima legge di Bilancio, quella cioè dove dovrebbero essere fatti i tagli per riportare i conti in ordine. Ma loro stessi, Salvini e Di Maio, non sono d’accordo sulle priorità del Bilancio, perché ciascuno si limita a riproporre un proprio cavallo di battaglia e a mettere i bastoni tra le ruote al concorrente. La cosa che più li unisce è la volontà di sfidare l’Europa. Matteo Salvini, in visita negli Stati Uniti, ha avuto parole ancora una volta aspre nei confronti della Commissione, ha ribadito che l’Italia farà la flat tax e che «a Bruxelles se ne faranno una ragione», che «l’Italia non è la Grecia e non si accontenta più delle briciole», che «la linea di austerità dell’Europa ha solo portato povertà e precarietà e si deve abbandonarla prendendo a lezione la politica economica di Trump».

La flat tax tuttavia non è apprezzata dai grillini i quali viceversa rilanciano la loro idea del salario minimo stabilito per legge che invece per la Lega (e per il vertice dell’Istat) costerebbe troppo e non sarebbe applicabile. Contemporaneamente i leghisti presentano proposte di modifiche al reddito di cittadinanza che Di Maio considera alla stregua di provocazioni. Ora, domani sera o al più tardi giovedì Conte, Tria, Salvini e Di Maio dovrebbero vedersi per decidere i contenuti della lettera cui accennavamo più sopra. Sarà interessante vedere come riusciranno a trovare un accordo: dei politici (che puntano allo scontro con la Commissione) con i tecnici (che lavorano per un accordo-male minore), e dei politici tra loro, in disaccordo quasi su tutto. La lettera di Conte dovrebbe riflettere un punto di vista unitario del governo italiano: se non sarà così, automaticamente non varrà granché e riceverà la solita risposta cortese ma ultimativa. Dove ci porterà questa sfida?

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