Il laboratorio Italia
alla prova cruciale

Come spesso è successo in questi anni, il voto in Italia supera la dimensione nazionale per diventare un fatto europeo. Non solo perché siamo i ribelli, gli irregolari di turno, ma in quanto la nostra storia ha anticipato orientamenti e idee poi replicati altrove. Nel bene e nel male, l’Italia è stata un laboratorio politico e lo è tuttora nel pieno di una stramba crisi di governo che dovrebbe chiudere la legislatura più squinternata della Repubblica. Lo Stellone e la forza del Paese reale hanno retto l’urto, nel secondo ‘900 e nel nostro secolo, di trasformazioni radicali e di un sistema politico anomalo, entrambi senza uguali nel Vecchio continente.

Abbiamo avuto il Partito comunista più grande d’Occidente, la Dc fra le più ampie, una destra missina e nostalgica sempre presente nella geografia parlamentare, il Sessantotto più lungo, il terrorismo più crudele e invasivo, un’architettura politica smontata per via giudiziaria, il partito nordista popolar-popolano della Lega, il berlusconismo, il partito televisivo, i partiti pigliatutto, la sintesi fornita dal Pd che non ha equivalenti. Per arrivare al partito del clic nato da un comico e alla Lega sovranista di Salvini. Non ci siamo fatti mancare niente, compresa l’ultima variante: il ministro bagnante a reti unificate.

L’Italia, con le sue grandezze e miserie, non è un Paese come gli altri, ma non sempre è un belvedere. Anzi: il suo regredire dà la misura di un travaglio pienamente inserito nell’era dei populismi e nella stagione postliberale. Siamo il primo governo a guida populista fra i soci fondatori dell’Europa comunitaria, una maggioranza dai tratti antieuropei. Siamo gli unici ad avere due populismi al vertice e una lezione è proprio questa: non basta avere un comune nemico – l’Europa, la democrazia rappresentativa, lo Stato di diritto – per poter governare insieme. Quest’anno di governo del cambiamento ha detto pure che un movimento come i 5 Stelle non si lascia costituzionalizzare, non ha il corredo culturale per maturare, per uscire dall’infanzia protestataria. La Lega, visto il suo successo, ha certo smentito che il populismo sia una formula buona solo per chi sta all’opposizione, ma lo ha fatto trasformando il Viminale in un pulpito di parte, il megafono di una campagna elettorale permanente.

Un anno perso, vissuto in modo pericoloso e litigiosamente, in un Paese a crescita zero e con il partito dello spread dietro l’angolo. I due soci del contratto sono stati l’uno l’opposizione dell’altro, limitandosi ad accontentare le proprie cucine elettorali. Il governo è risultato credibile solo quando ha smentito la realizzazione delle promesse populiste, pur con le dovute eccezioni (il paziente ministro Tria, il lato tecnico della compagine). Si capisce la delusione dei ceti produttivi del Nord verso la Lega, una frustrazione arrivata sulla soglia della sfiducia, ma si comprende meno la delega in bianco ad un progetto che rischia di spaccare la coesione sociale, di dividere in buoni e cattivi, di non far crescere il Paese e non solo dal versante economico. Il «governo del popolo» ha accelerato il declino dell’Italia nel quadro di una perdita di valori civili e umani e di un racconto a senso unico. La crisi che si apre è al buio e non c’è il pilota automatico. Per quanto non vi sia automatismo fra il ritiro della Lega dal governo e le nuove elezioni, il voto resta molto probabile. Ma bisogna vedere come ci si arriva e attraverso quali passaggi. Non c’è il pilota automatico e raramente le crisi hanno un esito prestabilito in partenza. Mettiamo nel conto trabocchetti, veleni, divisioni.

La sensazione è che il bello (si fa per dire) debba ancora venire. In questo caso, infatti, la scelta dei tempi non è neutrale. Il contrasto che si profila fra chi vuole una crisi lampo, un procedere ad alta velocità, e chi gioca su sequenze più diluite può riservare sorprese. È possibile che da qui alle urne il paesaggio partitico cambi di nuovo secondo la formula dello «scomporre per ricomporre» fra cambi di casacca, nuove formazioni, divorzi, inediti fidanzamenti. Ci ritroveremo, comunque, sempre dentro un laboratorio che accompagna il destino dell’Italia. Ma che questa volta mette in gioco il senso, la tenuta della democrazia e il grado di civiltà giuridica di quella che è stata la culla del Diritto.

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