Il Mes divide
ma tutti sanno
che ci serve

Cominciano a delinearsi le linee guida del piano governativo necessario per usufruire dei fondi (209 miliardi) del Recovery Fund. La prima riunione del Comitato interministeriale, le dichiarazioni del presidente del Consiglio, le discussioni parlamentari ci stanno facendo capire come si muoverà l’Italia verso l’Ue. Innanzitutto invertirà la rotta rispetto ai sussidi distribuiti durante il Covid e che hanno comportato una spesa aggiuntiva, tutta a debito, di circa 100 miliardi: non più mille interventi a favore di questa o quella categoria colpita dalla pandemia nel tentativo di «coprire» le mille falle che si sono aperte nella barca della nostra economia durante il lockdown, ma l’individuazione di alcune macro-aree in cui intervenire per mitigare gli impedimenti che da circa 20 anni frenano lo sviluppo nazionale mettendo l’Italia regolarmente in coda alla fila europea.

Tra queste aree figurano la digitalizzazione, l’economia sostenibile, i trasporti, le opere infrastrutturali. Un massiccio piano di investimenti pubblici – proprio ciò che è mancato dalla crisi finanziaria del 2008 in poi – che porti la crescita del Pil dallo 0,6 degli anni pre-Covid ad un confortante 1,5-1,6% in linea con la media europea. Naturalmente è subito scattata la polemica sul «libro dei sogni» che il Governo starebbe pubblicando rinfrescando vecchi progetti mai attuati. Probabilmente c’è in questo piano Gualtieri-Amendola una componente retorica ma va detto che se i progetti non saranno sufficientemente precisati il via libera della Commissione non arriverà.

Ma è proprio questo il punto: quando si sbloccheranno questi fondi così attesi? L’impressione è che i tempi si stiano allungando: la data ultimativa del 15 ottobre per la presentazione a Bruxelles dei progetti potrebbe estendersi fino alla fine del mese prossimo mentre sono attese nuove linee guida prima di Natale che aprano la discussione comunitaria nel primo trimestre del 2021. In sostanza: questi soldi non arriveranno prima della primavera dell’anno prossimo. Salvo che non venga erogato un anticipo di (forse) il 20% già entro il 2020. La questione è tutt’altro che astratta: dopo che abbiamo speso 100 miliardi per i bonus, la cassa integrazione, i sussidi vari, il Tesoro dovrà fare una legge di stabilità 2021 con delle risorse che al momento non ci sono, salvo naturalmente autorizzare un terzo aumento del debito oltre lo stellare 160 per cento sul Pil cui si è arrivati finora.

Ecco perché si ripropone con forza il tema del Mes: i 36 miliardi a tasso zero e a pronta cassa del Fondo Salva Stati sono diventati un moloch ideologico contro cui si muovono sia i sovranisti (non Forza Italia) sia il M5S, entrambi interessati a dipingere una Europa pronta a ricattarci con contratti capestro tipo Grecia. In realtà tutti sanno che di quei soldi non possiamo fare a meno: il primo ad esserne consapevole è Giuseppe Conte (che infatti si lascia tutte le porte aperte), il secondo ad averlo capito è Luigi Di Maio. Entrambi però non vogliono dare armi propagandistiche all’opposizione né provocare tumulti nel disorientato gruppo parlamentare grillino. È per questo che si sta lavorando ad un’operazione di maquillage del Mes (che potrebbe persino cambiare nome) tale per cui l’Italia potrebbe chiedere i fondi senza fare la figura di chi si auto-ammanetta.

A sentire ciò che si dice nelle anticamere ministeriali finirà esattamente così: in attesa delle prime rate del Recovery Fund troveremo un modo per incassare i 36 miliardi destinati alla sanità che, come tutti sanno, è stata in gran parte provata dalla emergenza Covid e ha urgente necessità di investimenti (che oltretutto darebbero una bella spinta al Pil).

© RIPRODUZIONE RISERVATA