Il monito
di Mattarella
su mafia e giustizia

Sergio Mattarella ha scelto il giorno di Capaci e del ricordo delle vittime
di mafia per lanciare messaggi chiarissimi al Paese, ai giudici, alla politica. Il primo messaggio agli italiani è proprio sulla mafia: «O si è contro o si è complici» ha detto nell’aula bunker di Palermo dove – ha ricordato – «la Repubblica ha assestato colpi durissimi ai criminali» che poi sono costati la vita a tanti servitori dello Stato a cominciare da Giovanni Falcone e Salvatore Borsellino. Nelle parole del Presidente non sono accettabili né il cedimento né l’atteggiamento pilatesco dettati da paura o interesse.

È vero, dice Mattarella, che la mafia ha perduto terreno nella propria capacità di creare consenso intorno a sé e che la condanna sociale, soprattutto dei più giovani, oggi è assai più estesa che in passato, ma non bisogna dimenticare che la battaglia è tutt’altro che vinta. Secondo messaggio, questa volta alla magistratura, proprio nel giorno di Falcone (giudice onorato da morto ma altrettanto criticato e osteggiato da vivo da parte di molti suoi colleghi). Poiché questo è un periodo in cui il prestigio della magistratura è stato molto scosso dagli scandali, dalle lotte intestine tra le correnti dei giudici, dalle inchieste che sono arrivate a devastare il Consiglio Superiore di cui il Capo dello Stato è il presidente, Mattarella chiede che «si faccia luce rapidamente su ombre, dubbi, sospetti, responsabilità» che gravano sui giudici: basti ricordare lo scandalo Palamara, le guerre alla Procura di Milano, il caso Amara-Davigo e i dossieraggi fatti arrivare ai giornali. Il punto, ricorda Mattarella, è che la credibilità della magistratura è imprescindibile per il funzionamento della Repubblica e «le contrapposizioni, le contese, le polemiche» non fanno che recare danni a un potere fondamentale dello Stato nei confronti del quale i cittadini non devono dubitare se non a prezzo «di gravi turbamenti». Insomma, è l’ennesima tirata d’orecchi che arriva dal Quirinale a un Csm sempre più ingovernabile e ad una corporazione giudiziaria di cui emergono ormai senza freno le pecche e le contraddizioni.

Terzo messaggio: questa volta ai giudici e ai politici, e collegato al punto precedente. Servono le riforme dell’ordine giudiziario e bisogna farle «sollecitamente». Mattarella non entra nel merito delle questioni ma fa implicitamente riferimento alle tante divisioni che sono tornate ad emergere ora che il governo si appresta, nell’ambito del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) a varare le riforme del processo penale, di quello civile e dell’organizzazione giudiziaria a partire dal metodo di elezione del Consiglio Superiore. I giudici da tempo mandano messaggi che somigliano a veti (per esempio sulla divisione delle carriere) mentre i partiti ricominciano a dividersi secondo i vecchi schemi. Al punto che Matteo Salvini, volutamente dimenticando che il funzionamento della giustizia è fondamentale per ottenere i fondi europei, è arrivato a dire che le riforme non devono far parte di questo governo e ha firmato per proporre dei referendum. Anche se l’uscita del leader leghista è stata in seguito attenuata, resta il fatto che le divisioni in questo campo sono da sempre foriere di rinvii e paralisi. È esattamente quel che Mattarella vuole scongiurare, e il discorso di Palermo a questo serviva. Sono impegni di lunga lena che non si esauriranno in un anno e non è detto che a Mattarella non venga chiesto, come a Napolitano, di restare ancora un poco al Quirinale per controllarne l’esito. Lui, l’interessato, ha più volte fatto sapere che non è disponibile ad una rielezione, sia pure parziale. Anche Napolitano inizialmente aveva detto un no fermissimo, poi però le circostanze lo costrinsero a rassegnarsi e a fare anche i tempi supplementari del settennato.

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