Il muro di Trump
e gli applausi social

Prima l’ha fatta sterzare a destra nominando due giudici amici e poi, a risultato raggiunto, ha twittato come al solito: «Wow! Una grande vittoria». Donald Trump inaugura la campagna elettorale per le prossime presidenziali incassando il sì della Corte suprema all’utilizzo dei fondi del Pentagono per la costruzione del Muro anti-immigrati lungo il confine messicano. Cinque giudici a favore, quattro contrari, ma quello che conta è il consenso social che travolge la realtà con un lessico poco elaborato, approfondimenti zero, analisi ancora meno. Due miliardi di dollari del Pentagono serviranno per «solo» 160 chilometri di muro su migliaia promessi. Eppure i social si sono scatenati così come voleva il presidente alla ricerca costante del consenso irrazionale, irruento e scorretto.

La politica è puro istinto, continua a ripetere Trump. Il fatto che si siano allineati anche cinque dei nove «saggi» della Corte suprema non depone a favore della democrazia negli Stati Uniti. Ma basta un «wow» per sbaragliare ogni ragionamento. Il Muro di Trump prende il posto del Muro di Berlino, trent’anni dopo, con lo stesso impatto visivo. Sono le capriole tragiche della storia, da cui nessuno impara mai niente. Come si moriva a Berlino per scavalcare il Muro si continuerà a morire lungo la frontiera messicana. Muri che si alzano, navi che si fermano, slogan troppo semplici come quell’aiutamoli-a-casa-loro, ripetuto come un mantra mentre si azzerano i fondi per la cooperazione, sono scelte politiche ispirate al principio della dissuasione, assai popolare e decisivo nella formazione del consenso. E basta un «wow», naturalmente declinato nelle varie lingue, per giustificare l’enfasi sul controllo e nascondere tutte le altre nefandezze umane e istituzionali. A nessuno importa che con i muri e le navi ferme l’ecatombe non fermerà affatto.

Ricordate Oscar, il papà, e Valeria, la figlia, con la faccia nel fango? Ricordate il piccolo Alan sulla sabbia di un’isola greca? L’indignazione, neppure di tutti, è durata il tempo d’un baleno. Naufragi e dispersi sono il normale danno collaterale del costo della dissuasione. Perché i trafficanti di esseri umani non vanno in ferie né si prendono una pausa se gli Stati cancellano il soccorso in mare. Ma i numeri smentiscono il «wow» planetario. Due anni fa con missioni organizzate e navi di Ong il tasso di mortalità nel Mediterraneo era di 1 su 38. L’anno scorso con quasi tutti fermi è salito a 1 su 14 e quest’anno sono già 904 i morti in mare, numero destinato a salire.

La Comunità di Sant’Egidio, che ha elaborato dati di varie fonti, conta 38 mila morti nel Mediterraneo negli ultimi trent’anni. Nessuno fermerà mai le migrazioni, perché la mobilità umana, interna ed estera, è l’unico vero fattore di sviluppo di ogni Paese. La storia italiana, ma anche quella americana, lo dimostra.

Le leggi sull’immigrazione dovrebbero regolare la libertà di migrare, facilitandola con corridoi specifichi e sicuri. Oggi invece il consenso va alle politiche di chiusura delle frontiere e di respingimento sistematico, politiche suicide ma con alto applauso social. Le opinioni pubbliche dei Paesi ricchi ritengono che una politica «ben gestita» sia quella che blocca donne uomini e donne, ma non metta alcun freno al movimento di capitali e merci. E non importa come si bloccano se con un muro o stravolgendo il diritto del mare. L’indignazione e la pietà sono scomparse perché gli strateghi del consenso sono riusciti a de-personalizzare il contesto e ad annientare qualsiasi riflessione sulle proprie azioni e sui propri pensieri. Solo Bergoglio invita alla resistenza. Ma per quasi tutti gli immigrati non sono esseri umani, ma un problema e io naturalmente non sono razzista: «Wow!».

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