Il no al figlio autistico
Fallimento per tutti

Una telefonata così gli operatori di Casa Sebastiano, una struttura per bambini con sindromi autistiche, davvero non avrebbero mai pensato di riceverla. «Uno schiaffo che toglie il fiato», l’hanno definita, dandone notizia sul sito. La telefonata era di un’operatrice dei servizi sociali che chiedeva di trovare sistemazione per un bambino di 11 anni con diagnosi di autismo. «La famiglia non lo vuole più», ha spiegato l’operatrice. Tale è stato lo spiazzamento che quelli di Casa Sebastiano hanno deciso di mettere la notizia sul sito della Fondazione Trentina Autismo di cui fanno parte. Il titolo del post dice tutto «La resa». «Le istituzioni hanno fallito», scrivono infatti, «la società ha fallito. È mancato il supporto delle istituzioni, i servizi, l’aiuto necessari a che un bambino e i suoi genitori possano affrontare insieme la drammaticità di una disabilità dura, a volte durissima».

Per chi lavora con impegno, passione e intelligenza per accompagnare e sostenere le famiglie nella difficile esperienza di un figlio autistico, questa telefonata suona evidentemente come un campanello d’allarme. «Se una famiglia si arrende, le istituzioni hanno fallito», dicono. E lo dicono nella consapevolezza che in questi anni tantissime conquiste sono state fatte e che attorno all’autismo si possono davvero raccontare molte «belle» storie.

Secondo l’Osservatorio nazionale autismo, che fa capo all’Istituto superiore di Sanità, si stima che in Italia questa sindrome colpisca un bambino ogni 77 e sarebbe in progressivo aumento per l’intreccio di diversi elementi: l’aumentata consapevolezza della popolazione, il cambiamento dei criteri diagnostici, l’introduzione di strategie di screening e individuazione precoce che consentono la diagnosi anche di disturbi lievi che in passato non erano individuati. L’età della prima diagnosi in tante regioni è stata abbassata e portata a tre anni; in queste regioni, in gran parte dei casi c’è stato un aumento dei servizi specialistici in grado di offrire percorsi adeguati. Quindi se è certamente vero quello che hanno denunciato gli operatori trentini, è anche altrettanto vero che il sistema sanitario non è rimasto fermo. Certamente l’autismo implica percorsi complessi perché i quadri clinici sono molto variabili e richiederebbero una «medicina personalizzata». Si sconta purtroppo la disomogeneità dei sistemi regionali e a questo proposito il fatto che il caso in questione riguardi il Trentino, cioè un territorio con un welfare di eccellenza deve suscitare preoccupazione.

Se una famiglia «scoppia» in un contesto dove i servizi funzionano certamente meglio della media, ci si deve davvero fermare a riflettere. Non si può gettare la croce contro chi alza bandiera bianca e arriva addirittura per disperazione a non voler più quel figlio che non si sa più come gestire; ma non si può neanche gettare la croce contro una rete di servizi che le istituzioni stanno garantendo. Forse la questione vera è un’altra: ed è la solitudine a cui queste famiglie sono esposte, è l’assenza di reti sociali e solidali che sostengano nella quotidianità il loro difficile cammino. Esistono in Italia tante esperienze, nate dal basso, di famiglie che si organizzano in modo innovativo e mutualistico.

Una di queste esperienze ha visto coinvolto un personaggio come lo chef Massimo Bottura, che ha un figlio con una sindrome simile all’autismo. Sono 24 famiglie modenesi che si sono messe insieme e hanno fondato un’associazione, «Il Tortellante», che mette al lavoro ragazzi autistici, permettendo loro «di tracciare un futuro», come si legge sul sito. Esperienze così danno speranza alle famiglie. Quella speranza che è mancata in quel papà e in quella mamma che non ce l’hanno più fatta e hanno detto di no al loro figlio.

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