Il Paese governato
da una bolla di paura

Il 51% degli italiani approva il blocco degli sbarchi degli immigrati, mentre 6 cittadini su 10 accusano l’Europa d’inadempienza. Niente di nuovo sotto il sole, piuttosto la conferma di una tendenza di lungo corso nella cornice di un cambiamento di clima ormai strutturale. Il sondaggio settimanale di Nando Pagnoncelli (Ipsos) sul «Corriere» ribadisce che la questione dei flussi di un’umanità alla deriva continua a occupare l’immaginario collettivo e la realtà quotidiana, pur in presenza di una caduta verticale dei numeri della tensione migratoria e di urgenze più assillanti, a cominciare dalla gelata dell’economia. In altre parole: l’impatto emotivo supera la modestia della quantità in discussione.

L’indagine segue la conclusione positiva dell’odissea dei disperati soccorsi dalla nave Sea Watch e rimasti a mollo in mare per quasi un mese al largo di Malta. I numeri spiegano molto, ma non dicono tutto e il discrimine è capire di cosa stiamo parlando, recuperando la razionalità del senso delle proporzioni. Il motivo del contendere non riguarda un’invasione apocalittica, bensì solo 49 migranti, di cui l’Italia ne ha presi 10-15. La distanza fra la realtà e la sua rappresentazione dice invece parecchio sulla psicologia collettiva addomesticata dal suo utilizzo intensivo, alla maniera del surfista che sfrutta l’onda: la posta in palio, in una campagna elettorale già iniziata per le Europee di maggio, è il consenso.

Poca cosa in sé come allarme sociale, eppure di un valore simbolico a dismisura, testimoniato dallo psicodramma consumatosi nel governo su un tema tanto controverso quanto ipersensibile. La stessa immagine rivalutata del premier Conte, schieratosi a favore dello sbarco, così come le parole di buon senso di Baglioni diventate un caso rivelano lo smarrimento di un mondo rovesciato: non siamo più abituati alla normalità e, quando c’è, desta scandalo. Pagnoncelli avverte che nell’opinione pubblica si affermano, più che intolleranza, i timori di un fenomeno migratorio fuori controllo e un senso di abbandono da parte dell’Europa nei nostri confronti. Si può anche aggiungere che un certo cattivismo è adeguatamente contrastato da un solidarismo diffuso che, pur silenzioso, svolge un ruolo di supplenza dai meriti non sempre riconosciuti. La prevalente adesione dell’opinione pubblica alla stretta anti immigrati è una reazione alla paura, certo legittima, e che tuttavia va collocata in un momento di trasformazione rapido e violento il cui punto d’arrivo è al momento ignoto. Sentimenti che si mischiano alla degenerazione della cultura istituzionale e del galateo politico in un Paese regredito nei diritti e nel livello di civiltà giuridica. In cui si assorbe tutto e diventa normale pure il gettare nella spazzatura vestiti e coperte di un clochard.

C’è un limite a tutto e se – a proposito della protesta dei sindaci contro le norme che promettono sicurezza e che invece potrebbero produrre insicurezza – ci sono precisi e invalicabili paletti costituzionali, è pur vero che resta un problema di giustizia mancata e di norme che superano i limiti dell’umanità. Se il cuore del problema sta nella latitanza dell’Europa, non si capisce perché il cuore dei sovranisti batta per quei Paesi fratelli, come Ungheria e Polonia, che proprio non ne vogliono sapere di immigrati dalle loro parti e dove si va a fare shopping elettorale. Un conto è governare la paura, altra cosa è costruirla nella bolla mediatica attraverso la strategia della tensione comunicativa. Gli apprendisti stregoni hanno capito in anticipo che, nell’epoca pop e dell’informazione estrema, la contesa del potere si gioca sulle parole. Se trovi quelle giuste hai risolto l’incantesimo. Salvo scoprire, prima o poi, che pure le soluzioni ingannevolmente semplici hanno le gambe corte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA