Il reporter ucciso
L’Europa dei giovani

«Inseguo le mie passioni: il giornalismo e l’Europa. Vorrei che i giovani come me lo capissero. Mai come oggi un’Europa unita è cruciale e mai come oggi siamo a un passo dal distruggerla». Sono parole di Antonio Megalizzi, il reporter di 29 anni morto dopo l’attentato a Strasburgo avvenuto l’11 dicembre scorso. Una sorta di testamento personale e politico insieme, che è riuscito, nel clima di rancore nel quale viviamo, a generare anche reazioni negative. Su Facebook c’è chi ha scritto, con cinismo e superficialità, che Megalizzi è stato vittima della sua idea di Europa aperta, essendo morto in seguito agli spari di un giovane immigrato maghrebino, anche lui di 29 anni, indottrinato all’islam radicale in carcere e militante dell’Isis. Ma l’idea di Europa aperta del giornalista non era certo quella di un continente accessibile anche al terrorismo islamista.

Il reporter trentino era coordinatore per l’Italia del progetto Europhonica, una radio web nata allo scopo di rendere accessibili ai giovani le evoluzioni legislative a livello europeo. Un impegno che non lo ha reso ricco, anzi: ha comportato tanti sacrifici, compresi i lunghi viaggi in autobus da Trento a Strasburgo. Martedì scorso la sua salma ha compiuto il viaggio inverso, accolta a Ciampino dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che sarà presente oggi ai funerali nella Cattedrale di Trento insieme al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

La biografia di Megalizzi si presta semmai ad altre letture, bandendo quelle ciniche dei social. È il rappresentante di una generazione che vede nell’Europa una necessità, quando in Italia non si trova lavoro, o un progetto culturale ancora attuale, fatto di scambi e di conoscenza: ne è prova il progetto Erasmus, lanciato dall’Unione europea 31 anni fa e che al primo esperimento vide partire da un Paese all’altro 3 mila 200 giovani e che quest’anno dovrebbe superare i 350 mila studenti coinvolti. Altre migliaia invece aderiscono al Servizio civile internazionale.

Una generazione che ha come prospettiva un’altra Europa, non quella arcigna che vigila sui conti pubblici: una visione riduttiva, che non ci permette di vedere i vantaggi dell’adesione all’Ue. Il Vecchio continente unito conta di più nel mondo, avendo come competitor giganti quali Stati Uniti, Russia e Cina, che non i singoli Paesi in ordine sparso. L’Unione è poi attenta ai diritti dei consumatori: grazie alle sue scelte politiche sono stati liberalizzati i viaggi aerei, rompendo i monopoli delle vecchie compagnie e aprendo alle «low cost». Nel 2017 i voli aerei interni all’Ue hanno toccato il record di 1,046 miliardi di passeggeri (più 45,3 % rispetto al 2009). Il politologo Yascha Mounk (autore di un celebrato testo: «Popolo vs democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura») vede tutti i difetti dell’Unione ma invita a distinguere «tra lo spazio umano e culturale dell’Europa e lo spazio politico». Il primo è in piena espansione, proprio perché i giovani viaggiano, imparano lingue, importano idee e vivono i confini con fastidio, mentre il secondo soffre del «contrasto tra il sogno europeo e la realtà di una Ue molto complicata, con un deficit democratico» dovuto tra l’altro al fatto che l’Europarlamento continua a mancare di quella legittimazione che gli verrebbe dall’essere eletto per temi europei e non di politiche nazionali. I meccanismi decisionali poi sono così complessi da «non permettere di risolvere la loro stessa complessità». Inoltre i politici «quando le cose vanno bene si prendono i meriti, quando vanno male danno la colpa all’Europa». La classe dirigente «per sopravvivere a questa fase di rabbia, continua a fare quello che ha sempre fatto, senza parlare di futuro, di lavoro, di crescita». Sono le parole che i giovani si attendono, perché hanno un’altra marcia e un’altra prospettiva. Diceva lo scrittore praghese Franz Kafka: «Nella lotta fra te e il mondo, vedi di parteggiare per il mondo».

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