Il ritorno della pandemia ha sconvolto
la politica e la Cina ne approfitta

Il virus è tornato padrone del campo. Padrone del nostro tempo e del nostro spazio. Del lavoro e del tempo libero. È ritornato e ci ha riportato la paura, aggravata da un supplemento d’angoscia. Paura per la virulenza del contagio. Angoscia per la sua - per il momento - invincibilità. Pensavamo di averlo domato e invece è riesploso più forte di prima, bruciando la speranza nutrita fino a poche settimane fa di non vederlo ricomparire. Non ci resta che resistere fino a quando non disporremo del vaccino. Realisticamente, non prima dell’estate prossima. Nel frattempo il Covid ha sconvolto la sanità, scaricandole addosso un carico di compiti che non era preparata ad affrontare e che non avrebbe mai pensato nemmeno di dover svolgere. Tutto ciò basterebbe a mettere in risalto la portata traumatica delle trasformazioni che il virus ha messo in moto. Ma, sarebbe un bilancio in difetto. Mancherebbe l’impatto avuto dalla pandemia sulla politica, sulla piccola politica come sulla grande, su quella nazionale come su quella globale. Un premier (Giuseppe Conte) salito a Palazzo Chigi per caso, al deflagrare del virus si è trasformato in vero dominus della politica italiana. Parimenti, si sono sovvertiti i pronostici nelle recenti elezioni regionali.

In Campania il governatore uscente, Vincenzo De Luca, a febbraio era sotto di 10 punti sul suo principale competitor Stefano Caldoro mentre a ottobre lo ha doppiato. Si dirà: ma questo è poca cosa, per di più accidentale. Guardiamo allora a quel che sta avvenendo negli Stati Uniti, la maggiore potenza mondiale. Fino a pochi mesi fa Trump si stava avviando a una riconferma pressoché scontata e ora è costretto a rincorrere affannosamente il suo rivale. Sconvolta è la politica nazionale e non meno sconvolta è la geopolitica planetaria. L’intero Occidente, America compresa, si avvia a chiudere l’anno con un’economia in profondo rosso (caduta del Pil tra il 4 e il 10%) e con la sanità in ginocchio. Al confronto, la potenza emergente della Cina se la passa fin troppo bene. Non conta un solo ricoverato in terapia intensiva e vanta una sorprendente ripresa economica, che le permetterà di azzerare a fine anno le perdite subite nel primo semestre. Per questo motivo, non sono pochi quelli che intravvedono, nella spettacolare divergenza di risultati su due aspetti cruciali del vivere collettivo, la conferma della diversa vitalità dei due modelli: l’occidentale e l’orientale. Il primo fondato sulle libertà del cittadino, il secondo sull’autorità dello Stato.

L’uno, in grande difficoltà a garantire la salute dei suoi cittadini e impossibilitato ad assicurare - dimentichiamoci la crescita - nemmeno la tenuta del tessuto economico. Il secondo, propulsore dello sviluppo e timoniere nelle burrasche epidemiche. Non sono diversità da poco. La civiltà occidentale si è sempre basata su due pilastri: la crescita economica e la libertà politica. La prima è in forse da molto tempo ed è in gioco da quest’anno. La seconda è in discussione dal sormontare di una domanda di sicurezza e di protezione che solo uno Stato autoritario, come appunto lo Stato comunista, sembra assicurare. Non è che, complice il Covid, la Cina stia consumando il suo sorpasso storico sia sul vecchio sia sul nuovo Continente?

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