Il ritorno di Conte
Speranza per i 5 Stelle

Molti prevedono che il M5S in un futuro ormai prossimo andrà in pezzi. Gli elementi di una implosione, a ben guardare, ci sono tutti: ognuno va per conto suo, non c’è un capo, e il panico è diffuso almeno quanto lo scontento. L’ultima carta per evitare il big bang di quello che fu il partito di maggioranza relativa porta il nome di Giuseppe Conte. L’ex presidente del Consiglio, che ieri è tornato alla sua Università di Firenze con una «lectio magistralis» sulla pandemia, ha fatto sapere a tutti che il suo primo impegno dopo Palazzo Chigi sarebbe stato appunto quello accademico. Ma non ha mai chiuso le porte ad altre forme di «servizio». Così, di fronte allo sfascio del Movimento e alle ripetute espulsioni, Beppe Grillo ha pensato di affidare a lui la sua (ex) creatura. Anche Luigi Di Maio, che pure è stato descritto negli ultimi anni come il principale danneggiato dalla crescita politica di Conte, ha sollecitato l’«avvocato del popolo» a «fare un passo avanti». Anche per questa ragione Grillo ha convocato per domani nella sua villa di Bibbona un summit con lo stesso Conte, Fico, Vito Crimi e pochi altri (ma tra questi non Casaleggio in rotta di collisione ormai da tempo con il Garante). Qualcuno però ha spifferato la notizia ai giornali e la cosa per il momento è in bilico.

Ma come potrebbe Conte assumere la guida di un movimento cui non è neanche iscritto? E come potrebbe il suo inserimento avvenire nel momento in cui si è deciso di abolire la carica di «capo politico», retta transitoriamente in questo anno dallo scolorito Vito Crimi, a favore di un comitato direttivo da eleggere direttamente? Problemi assai complicati, come si capisce che tuttavia in passato - in circostanze analoghe - il Movimento ha brillantemente ovviato, in genere rimangiandosi regole considerate sacre sino a quel momento. Quindi, a parte le procedure, la domanda è: Conte torna – se torna – per fare cosa? Bisogna ricordarsi che è stato presidente del Consiglio di governi sia orientati a destra, con la Lega, sia a sinistra, con il Pd. Non ha fatto una piega a varare i decreti sicurezza con Salvini e a scomunicarli, almeno a parole, con Zingaretti. Dunque è uomo, per dir così, flessibile. L’ideale per cercare di rimettere insieme i cocci di un movimento diviso tra mille correnti alcune delle quali guardano, per la salvezza, ad una alleanza con la Lega, mentre altre si percepiscono come parte di un fronte progressista. Da questi conteggi sono esclusi naturalmente i dissidenti che se ne sono andati, tipo Di Battista, vagheggiando il ritorno alle origini di un movimento «né di destra né di sinistra» ma confusamente «alternativo».

Conte, dotato di un’abilità ormai accertata, reso autorevole da anni di governo e di relazioni, arricchito da una laurea e un insegnamento all’Università oltre che di una discreta familiarità con l’inglese, di un abile spin doctor come il discusso portavoce Rocco Casalino e di un ottimo sarto, sembra così l’ultima speranza per contentare questi e quelli, e dare a tutti una speranza di sopravvivenza politica. Casalino va già dicendo che con il suo cliente il M5S tornerebbe sopra il 20% (e probabilmente fa la somma del 15-16% di cui il movimento è accreditato oggi più il 6% che potrebbe raccogliere un partito «personale» dell’ex premier). Chissà se è vero o se è la solita propaganda. In ogni caso alle trattative con gli altri partiti e con Draghi il M5S non sarebbe più costretto a mandare avanti gente come Vito Crimi ma un ex presidente del Consiglio. Certo, anche per Conte non sarebbe facile vedersela con le legioni di scontenti tra i deputati e i senatori grillini mancati ministri, viceministri, sottosegretari, capigruppo e presidenti di qualche cosa. Ma a loro lui potrebbe offrire la più agognata delle speranze: quella di rimanere a Roma su una poltrona di Montecitorio o di Palazzo Madama.

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