Immigrazione e austerità
Salvini perde
le sue carte vincenti

Basta esser vincenti in Italia per essere protagonisti in Europa? Una domanda del genere se la deve esser posta Salvini alla luce della brutta piega assunta dalle nomine in corso di definizione a Bruxelles. La strategia definita dal capo della Lega per risollevare le sorti del partito si fonda su un caposaldo: divenire l’imprenditore politico della frustrazione sofferta dagli italiani per l’austerità imposta dagli euroburocrati e per la sordità opposta da Commissione e Consiglio europei nei confronti dell’«invasione» immigratoria sopportata dal nostro Paese.

Per aver successo, tale strategia necessitava di un nuovo equilibrio politico in sede europea. Esattamente il contrario di quanto si sta verificando. Il 4 maggio non è uscito dalle urne l’atteso ribaltone politico a vantaggio dei sovranisti. Il benservito ai vari Junker e Moscovici, atteso e preteso con modi spesso irriguardosi da Salvini, non ha portato all’insediamento di vertici ben disposti nei suoi confronti. Anzi, Bce e Commissione europea affidate a due personalità come Christine Lagarde e Ursula Von der Leyer, con fama di rigoriste, non promettono nulla di buono per i fautori di un allentamento dei vincoli di bilancio. Le loro nomine sono inoltre il frutto del ristabilito asse franco-tedesco che ha sancito in modo perentorio l’isolamento dell’Italia. Gli effetti si sono subito visti. La leghista Mara Bizzotto, candidata alla vice presidenza del parlamento europeo, è stata in settimana sonoramente bocciata. Ma tutto ciò è poca cosa rispetto a quello che bolle in pentola in tema d’immigrazione e di sorveglianza dei conti pubblici: i due dossier su cui è in gioco il successo della strategia salviniana.

Non deve indurre a un eccessivo ottimismo il ritiro, deciso dalla Commissione, della procedura d’infrazione per eccesso di deficit e di debito. Il pericolo è stato sventato ma solo per il momento. I conti finali si faranno a tempo debito, alla stesura del bilancio 2020 su cui gravano impegni di spesa (per clausole di salvaguardia Iva, flat tax e salario minimo, oltre che per reddito di cittadinanza e quota 100, ormai a regime) non facilmente sostenibili.

Nemmeno sul fronte immigrazione Salvini può aspettarsi buone nuove. Per smistare una quarantina di profughi c’è voluta una trattativa di ben diciassette giorni. In più, l’ordinanza con cui il gip di Agrigento ha negato la convalida dell’arresto del comandante della Sea Watch, Carola Rackete, ha finito col rimettere in discussione l’intero sistema securitario dei porti chiusi, come dimostra l’intensificato attivismo delle varie Ong nei salvataggi in mare. Gli sviluppi della guerra civile in Libia stanno facendo il resto.

Sino a oggi Salvini è riuscito a sbaragliare il campo puntando sulle carte vincenti della lotta all’immigrazione e all’austerità. Ora, però, il gioco si fa duro. In Europa non è lui ad avere in mano il mazzo di carte e al prossimo giro lo aspettano sfide proibitive: a partire dai quaranta miliardi da finanziare nella legge di bilancio per finire con la fitta serie di crisi e di vertenze aziendali (solo per citare le più importanti, Alitalia, Ilva, Autostrade). Sarà difficile per lui continuare a essere vincente senza inventarsi una nuova strategia e soprattutto nuovi alleati.

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