In ginocchio per la guerra
La Siria è dimenticata

È la guerra dei dieci anni, ma non se ne vede l’epilogo. Così l’anniversario è solo un’altra tragica pietra miliare del calvario siriano. Ci sono un sostanziale silenzio, una colpevole indifferenza e una rassegnazione alla barbarie, rotti solo dalle parole di Jorge Mario Bergoglio. L’appello di ieri all’Angelus è solo l’ultimo. Papa Francesco chiede «uno squarcio di speranza per la popolazione stremata», segni di buona volontà delle parti e impegno «costruttivo e solidale della Comunità internazionale». Quante volte lo ha ripetuto? Invece la Comunità internazionale ha deciso di lasciarsi alle spalle gli orrori, le stragi indiscriminate dei civili, gli assedi, la negazione dell’assistenza umanitaria, le detenzioni arbitrarie, le sparizioni, le esecuzioni, la tortura e milioni di civili in fuga.

La Siria ferita e sanguinante, con la sua miseria di macerie, di morti e di fame, è stata abbandonata al suo destino. Il mondo, in questi dieci anni, ha guardato con distacco alla sua sorte, camuffando l’ipocrisia con il realismo geopolitico e con il cinismo diplomatico e militare, giudicato indispensabile per contrastare costellazioni terroristiche e gruppi armati di varia natura ideologica, senza alcuna empatia per le vittime. Carla Del Ponte, il magistrato svizzero per molti anni procuratore capo del tribunale internazionale per la ex Jugoslavia e poi alla testa della Commissione d’inchiesta dell’Unhcr sulle violazioni dei diritti umani in Siria, ha scritto un libro intitolato significativamente «Impuniti», nel quale ha descritto la sua esperienza siriana, dove spiega che «la fine della guerra corrisponderebbe alla fine dell’impunità e l’inizio della giustizia». Ma è proprio quello che non si vede all’orizzonte ed è la ragione per cui Carla Del Ponte si è dimessa dall’incarico.

Oggi solo Francesco insiste e il viaggio in Iraq è stato, per lo stupore della Comunità internazionale, un evento «inaudito», che ha fatto cadere le maschere della Comunità internazionale insieme al cumulo di menzogne proposte in questi dieci anni per scansare ogni intervento strategico di de-escalation militare e ogni intervento deciso di aiuto umanitario efficace. In realtà la guerra in Siria è stata volutamente sottovalutata per convenienza da tutti.

Caritas italiana, in un dossier pubblicato ieri da leggere integralmente sul suo sito, ricostruisce il quadro d’insieme di un conflitto che è diventato la parte più importante di quella che Bergoglio definisce la terza guerra mondiale a pezzi. Racconta le trappole di un’informazione governata dai burattinai internazionali e da registi più o meno occulti, allargando lo sguardo all’intero Medio Oriente, partendo dalle rivoluzioni di popolo delle primavere arabe e del loro fastidio presso la Comunità internazionale, fino alla denuncia delle carenze strutturali che la crisi siriana ha messo a nudo in Europa: «Mancanza di una politica estera, economica e migratoria condivisa, latenza di un sentimento comune europeo, poca indignazione per il modo in cui, sul territorio europeo, vengono gestite le vite delle persone che fuggono da guerre e da violenze».

Solo il Papa e le organizzazioni umanitarie sono convinte che la guerra in Siria non sia finita. Per molte Cancellerie dopo la sconfitta del Califfato nero che aveva le sue capitali a Raqqa, in Siria, e a Mosul, in Iraq, tutto è tornato a posto, e più volte Damasco, Mosca e Washington si sono affrettati a dichiarare la guerra conclusa.

Ma la riflessione che va fatta deve essere molto più vasta e complessa e abbracciare interessi locali e internazionali di ogni natura: geopolitici, economici e militari. Non è un caso che mai nessuna superpotenza si sia fatta avanti per imporre nemmeno una pace. I colloqui di Astana, giunti al quindicesimo round, tra governo siriano e gruppi di opposizione sotto gli occhi di Russia, Turchia e Iran, sono una commedia per nascondere le responsabilità dell’orrore ed evitare che qualcuno debba difendersi davanti ad un tribunale internazionale. Potrebbero servire a delineare il perimetro di una «pax siriana», senza giustizia per le vittime e con l’impunità per i carnefici.

Ma è esattamente quello che non va fatto per rispetto della verità e per evitare che sia l’equilibrio dell’odio a dettare le regole per il futuro, come è si è già visto nei Balcani.

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