Interessi nazionali
e cambio di Unicredit

L’ uscita di scena di Jean Pierre Mustier come amministratore delegato di Unicredit è un punto di svolta nei rapporti tormentati della finanza italiana con la Francia. L’Italia era l’unico Paese tra i maggiori dell’Ue a vedere presidiati istituti finanziari strategici da personale non riconducibile ai soli interessi nazionali. Unicredit, pioniere del capitale finanziario italiano, aveva acquisito la tedesca Hypo Vereinsbank e Bank Austria Creditanstalt negli anni Novanta. La prima vera banca a carattere europeo in Italia. Poi è seguito il declino culminato con l’arrivo al vertice nel 2016 del manager francese.

L’uomo di Parigi procede alle dismissioni di Pekao in Polonia, del gioiello Fineco e con 13 miliardi di ricapitalizzazione schianta di fatto i soci storici italiani. Vincent Bolloré, il bretone avviato alla campagna d’Italia, è nell’azionariato di Mediobanca e tesse le fila nella rete di potere delle assicurazioni Generali. Al vertice di Trieste siede un francese Philippe Donnet. Da sempre la francese Axa coltiva buone relazioni con Trieste nella speranza di poter al momento opportuno condurre in porto la fusione a dominanza francese, per intenderci. Sul piano industriale non va meglio. Fincantieri si vede messa sotto scacco dal governo di Parigi nella sua richiesta di acquisire dai coreani i cantieri transalpini Stx Europe di Saint Nazaire. Ne nasce una disputa con la pretesa del governo francese di mantenere il controllo dell’operazione.

Il leader mondiale degli occhiali Luxottica si fonde con Essilor, ne detiene tra il 31% e il 38% ma quota il titolo alla Borsa di Parigi e vi sposta la sede operativa. Lo stesso fa Fca che si fonde con Peugeot e distribuisce le sue sedi in Olanda, a Londra e a Parigi. La Torino della Fiat è diventata città dei ricordi. La Brexit porta poi un altro regalo alla Borsa francese. Borsa Italiana viene venduta dal London Stock Exchange e finisce sulle sponde della Senna. Ma non finisce qui: dal 2000 al 2018 il capitale straniero in Italia ha fatto il botto per un valore di 73 miliardi; 364 imprese sono finite per lo più in mani francesi. Alcuni nomi fanno storia e sono la quintessenza del made in Italy, Bulgari in testa. Parmalat nel 2011, poi le banche, da Bnl a Cariparma, a Friuladria. Il colpo di grazia è venuto con il gestore dei risparmi Pioneer posseduto da Unicredit e ceduto da Mustier alla francese Amundi. Come dire, trasferire di colpo 4 miliardi di risparmi, tanto sono stati valutati, in mani francesi. Il governo italiano non ebbe nulla a ridire. Una sorta di provincialismo italiano fa sì che il mercato sia una vacca sacra alla quale sacrificare tutto.

Nulla di più errato. Basti guardare cosa fa non solo la Francia, ma la Germania stessa: appena vede il rischio che un asset strategico cada in mani non desiderate, scatta la cintura di sicurezza. Quando Marchionne si candidò ad acquisire Opel gli sbarrarono la porta in faccia. Adesso il marchio è ritornato all’ovile ma a tutela francese nella conglomerata Fca Peugeot. La vecchia borghesia italiana si è ritirata, quella nuova delle piccole e medie imprese deve farsi le ossa: in questa fase di passaggio tocca allo Stato tutelare l’indirizzo economico-finanziario del Paese. E si badi bene, in funzione europea, non nazionalista o populista.

Un’Italia forte e consapevole dei suoi interessi serve all’Europa assai meglio di una asservita e ripiegata su stessa. Ai francesi può certo dispiacere, soffrono l’egemonia tedesca, vorrebbero compensarla con un dominio sull’economia italiana per acquisire più peso specifico nei rapporti con Berlino.

Ma l’uscita di Mustier da Unicredit ha rotto l’incantesimo e adesso anche alla bella addormentata italiana si sono aperti gli occhi.

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