Invidia sociale
sentimento «nuovista»

Il 2018 è stato l’anno in cui il populismo s’è esteso e consolidato, facendo la voce grossa e accentuando l’affanno dell’ordine liberaldemocratico. L’Italia, in questa recessione politica, ha rivelato un proprio tratto storico: quello di essere un laboratorio. Già il berlusconismo aveva anticipato alcune caratteristiche della stagione sovranista, maturate poi con il voto di marzo. In un’Europa con 14 esecutivi di minoranza su 28, siamo l’unico Paese che ha al governo due formazioni sovraniste riunite da un contratto, un premier orgogliosamente populista alla guida di una coalizione malmessa ma non moribonda, una manovra del popolo riscritta da Bruxelles. Questa sovraesposizione colloca l’Italia, uno dei soci fondatori della vecchia Europa ma non più allineato sullo schema tradizionale, fra i sorvegliati speciali: quanto succederà altrove avrà una forte ricaduta da noi, così come quel che avverrà sul piano nazionale potrà acquistare una dimensione politica più ampia. Nel bene e nel male, ci facciamo comunque notare e bacchettare.

Il 2018 è stato l’anno in cui il populismo s’è esteso e consolidato, facendo la voce grossa e accentuando l’affanno dell’ordine liberaldemocratico. L’Italia, in questa recessione politica, ha rivelato un proprio tratto storico: quello di essere un laboratorio. Già il berlusconismo aveva anticipato alcune caratteristiche della stagione sovranista, maturate poi con il voto di marzo. In un’Europa con 14 esecutivi di minoranza su 28, siamo l’unico Paese che ha al governo due formazioni sovraniste riunite da un contratto, un premier orgogliosamente populista alla guida di una coalizione malmessa ma non moribonda, una manovra del popolo riscritta da Bruxelles. Questa sovraesposizione colloca l’Italia, uno dei soci fondatori della vecchia Europa ma non più allineato sullo schema tradizionale, fra i sorvegliati speciali: quanto succederà altrove avrà una forte ricaduta da noi, così come quel che avverrà sul piano nazionale potrà acquistare una dimensione politica più ampia. Nel bene e nel male, ci facciamo comunque notare e bacchettare.

L’anno dello spread, riaffacciatosi a ricordarci che la ricreazione è finita, e dell’economia che torna a rallentare ha presentato il conto con la Borsa che ha mandato in fumo 100 miliardi. La manovra del cambiamento, fra le più controverse della storia recente, ci regala un futuro di tasse in più, mentre in pochi mesi il governo felpastellato ha messo a rischio la credibilità del sistema Italia costruita negli ultimi sei anni: fuga di capitali stranieri, banche in sofferenza, i principali indicatori economici con il segno meno. Per la prima volta – come ha ricordato il «Foglio» citando il giudizio dell’Ufficio parlamentare di bilancio – i problemi per la crescita non arrivano più dal ciclo economico ma da quello politico. Quando il premier Conte sostiene che il suo governo «ha scelto di rivoltare il Paese come un calzino», scambia il passo del gambero per una prospettiva da fiaba: più tasse, meno investimenti, rischio sviluppo. Manovra del popolo, così è venduta, in realtà è corporativa, misurata sui due elettorati dei Cinquestelle e Lega: reddito di cittadinanza al Sud, Quota 100 per le pensioni al Nord. Un popolo che si vorrebbe unico, ma in definitiva è spacchettato sul consenso geografico: c’è chi viene premiato, chi punito sull’onda di un sentimento nuovista, l’invidia sociale.

Poi c’è lo smantellamento di pezzi dello Stato sociale (insegnanti di sostegno, Protezione civile, accoglienza richiedenti asilo) in linea con un certo cattivismo verso l’area solidaristica. Lo s’è visto nella gestione illiberale dei flussi migratori, i cui toni trionfalistici sono debitori, al netto di tutto il resto, dell’azione di Minniti e della tregua degli sbarchi imposta dal «generale inverno». Un clima ambientale talora preoccupante, con derive xenofobe e intolleranti, o forse qualcosa di peggio, che non ha trovato un argine adeguato nei nuovi inquilini del potere.

Una grammatica istituzionale grossolana, fino a bypassare il Parlamento come s’è visto con la legge di Bilancio. Il populismo, che è uno stile comunicativo ed un fenomeno che va oltre la destra, è atteso alle elezioni europee di maggio: lì si misureranno la sua presa, tuttora alta, e la tenuta del contratto fra Salvini e Di Maio. Il successo del sovranismo non è però scontato, perché i cicli politici sono fragili e perché i danneggiati dalla manovra del governo prima o poi si faranno i conti in tasca. Con l’aria che tira, meglio allacciarsi le cinture di sicurezza e ascoltare quel che il presidente Mattarella dirà stasera agli italiani, specie sul Parlamento, espressione e interprete della sovranità popolare. Si è ancora in tempo per ricostruire le ragioni di una società inclusiva e per ricomporre le fratture. Si può sempre sperare, nonostante tutto.

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