La città
sta cambiando
e si vede

Bergamo sta cambiando, nell’opinione di molti, soprattutto di chi ci guarda da fuori. Comincia ad avere un nuovo layout di città, un identikit che non è più quello, spassoso, di Elvio Paramatti, la macchietta del muratore che Enrico Bertolino giovedì sera ha riportato sul palco di Zelig.
È scappata una frase durante la spedizione a Roma che annunciava la vittoria del Premio del paesaggio del Consiglio d’Europa: «È in corso una trasformazione quasi psicologica della città, di cui il progetto per Astino è espressione».

’ha detta Oliviero Bergamini, vicedirettore di Rainews, bergamasco che vive ormai a Roma. Noi giornalisti siamo esperti di nulla, spesso semplifichiamo la realtà, amiamo i concetti brevi, i titoli secchi: ma a furia di esserci a bagno, nelle cose di tutti i giorni, sviluppiamo un certo «naso». E sappiamo che 1+1+1 a volte fa anche più di 3.

Aver centrato un progetto che è piaciuto Lassù, in Europa, dove si decide ormai gran parte delle cose di casa nostra, non era un colpo facile: c’è voluta la tenacia dell’«imprenditore culturale» (la Mia), l’appoggio politico (il Comune), la curiosità e la competenza scientifica (l’Università), la passione di tanti bergamaschi che ci lavorano da anni e probabilmente anche l’astuzia avvocatile di preparare un piatto che garbava a chi lo doveva assaggiare: fatto di idee forti del nostro tempo (la svolta «green»), accoppiate però al tradizionalismo e al rispetto per le radici che è proprio di questa terra (il restauro di un antico monastero, compreso un alito di spiritualità rimasto impregnato in quei muri medievali).

Non basta. Il sindaco Giorgio Gori ha presentato a Roma anche la pace fatta tra Bergamo e Brescia, confessando apertis verbis gli inveterati malumori tra due province, in realtà tanto simili per cultura, indole e industria. Un «azzardo politico» consigliato dall’occasione, colta, di lanciare le «due B» della robustissima provincia lombarda, vera manifattura d’Europa, nell’impresa di diventare insieme una Capitale della Cultura inedita e binaria. Senza neppure dover menzionare la rivalità fra l’Atalanta e il Brescia Gori ha presentato, con un certo humour, il traguardo del 2023 evocando un’intesa paradossale che anche in centr’Italia possono capire: «È come se si fossero messe insieme Livorno e Pisa...». E ha ricordato che Bergamo si è intrufolata persino nel Distretto delle Città Creative Unesco per la Gastronomia, tra due capitali assolute della tavola imbandita come Alba e Parma.

Ma non è solo frutto di un buon appetito, che viene spesso dopo la malattia, tutto questo fermento che attraversa la città: Bergamo, con i suoi più di 100 mila cittadini (su 1,1 milioni di abitanti in provincia) impegnati gratuitamente nel sociale, l’anno prossimo sarà nominata Capitale italiana del volontariato. Tutto il lavoro fatto, silenziosamente, da migliaia di sanitari e di persone comuni per tirare fuori tutti noi dall’emergenza sociale più grave dal Dopoguerra in qua, la capacità tecnica, la competenza scientifica nel fronteggiare metro per metro la pandemia, la generosità umana dei bergamaschi hanno lasciato il segno.

Si percepisce - è accaduto anche l’altro giorno nella Capitale - dalla simpatia e dal rispetto che circonda il nome della nostra città da qualche tempo in qua. C’è anche della retorica, a volte, in tutto ciò, ma al fondo c’è sicuramente una percezione reale. Bergamo appare oggi come una città più aperta, più interessante, più varia, più aggiornata, più ricca di cose da dire di una trentina di anni fa. Persino più bella.

È merito di tutti quelli che ci vivono e che hanno lavorato, spesso nell’ombra, per fare questo passo in avanti. A volte anche chiusi tra le mura di casa propria, nei momenti più neri e più dolorosi.

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