La corsa al vaccino
non diventi una gara

«Nelle ultime ore è stato reso definitivo il contratto tra la Commissione Europea e Astrazeneca. Quel contratto parte dall’intesa fatta da Italia, Germania, Francia e Olanda con questa azienda. Stiamo parlando di un candidato vaccino, quindi c’è bisogno di tutta la prudenza del caso, ma in questo contratto c’è scritto che, se il vaccino dovesse essere confermato come sicuro, le prime dosi saranno già disponibili entro la fine del 2020». Le parole che Roberto Speranza, ministro della Salute nel governo Conte, ha rivolto al Senato durante l’informativa sul livello di attuazione delle misure contro il Covid 2, sono avvolte da una sana prudenza.

Nonostante questo, però, contengono un vizio che dilaga nei governi di tutto il mondo: ostinarsi ad annunciare il momento d’arrivo del sospirato vaccino che metterà fine alla pandemia, che dall’inizio del 2020 cambia le abitudini, l’economia e la vita associata di gran parte del pianeta.

Quella a cui stiamo assistendo è una competizione tra i Governi su quale sarà il primo a dare il fatale annuncio. Ed è un errore a cui vorremmo tanto che il nostro Paese non partecipasse. Anche perché tutti gli esperti del settore sanno che, anche quando il vaccino fosse scoperto e testato, andrebbe prodotto in milioni e milioni di dosi. Produzione che per forza di cose dovrà essere graduale e che sarà distribuita, in una prima fase, non a tutti ma alle categorie a rischio (medici, infermieri, operatori sanitari in genere) e alle persone più deboli di fronte al virus, cioè a coloro che già soffrono di altre patologie. Meglio quindi non sollevare troppe aspettative: la gran parte della popolazione dovrà rassegnarsi ad aspettare ancora.

Oggi, nel mondo, sono sottoposti ai necessari test circa 200 candidati vaccini. Pochissimi diventeranno vaccini «veri», forse due o tre. Anche perché quasi tutto ciò che gli scienziati sanno del Covid 2, l’hanno imparato affrontandolo e curandolo nella carne viva dei malati. In questi mesi, inoltre, il virus è mutato migliaia e migliaia di volte. Mutazioni che quasi sempre sono diventate anse morte nello sviluppo del virus, e che in rarissimi casi invece sono andate a gonfiarne e prolungarne la vitalità. Per inseguire gli imprevedibili e micidiali capricci del Covid e trovare il rimedio, inoltre, servono investimenti miliardari, che possono essere garantiti solo dagli Stati. Gli Usa, per fare un esempio, hanno già speso oltre un miliardo e 200 milioni di dollari per condurre ricerche in proprio e prenotare l’eventuale esito positivo di ricerche altrui.

Nel quadro che abbiamo tanto sommariamente descritto, di fronte a una pandemia che non fa distinzioni tra democrazie e regimi autoritari, Paesi ricchi e Paesi poveri, Nord e Sud, sarebbe stato essenziale che i Governi si adattassero a collaborare, scambiando le informazioni, magari condividendo le spese. Pur dando atto all’Italia di aver seguito questa strada consorziandosi a Francia, Germania e Olanda, dobbiamo riconoscere che in genere è successo l’esatto contrario. Per citare solo i «pezzi grossi», Russia, Cina e Stati Uniti sono andati ognuno per conto proprio. Anzi, la ricerca medica è diventata una delle tante facce della competizione politica. La Russia ha alzato la mano per prima, annunciando a metà agosto il vaccino chiamato Sputnik V e poi programmando per novembre le prime campagne di vaccinazione di massa. Gli Usa avevano guidato il fronte degli scettici, accusando i russi di aver tagliato corto con i test necessari a verificarne l’efficacia. Salvo poi annunciare di voler fare la stessa cosa, forse per permettere al presidente Trump di promettere un vaccino entro la fine dell’anno, in assonanza con la strategia della sua campagna elettorale. Mentre la Cina, come sempre zitta zitta, ha passato la pratica vaccino ai suoi laboratori militari, e parrebbe ora vicina al risultato finale.

Il tutti contro tutti, com’è ovvio, non ha favorito la ricerca. E la politica degli annunci strumentali non ha aiutato i cittadini a chiarirsi le idee sugli ulteriori sviluppi della crisi. Qualcuno, forse, avrebbe dovuto ricordare che da quarant’anni si cerca un vaccino per l’Aids e non si è mai arrivati ad averlo. E che la Sars, che era il virus Covid 1, sparì da sola quando tutti i laboratori del mondo erano mobilitati per il solito vaccino. Insomma, è ricerca, è scienza, è medicina. Non una partita di calcio.

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