La debolezza del sistema
L’equilibrio del Quirinale

La dinamica dei rapporti tra organi costituzionali va collocata nell’ambito del processo politico democratico. Il flusso più importante è senza dubbio quello che si instaura tra il corpo elettorale e le forze politiche chiamate a rappresentarlo in Parlamento e nel Governo. Accanto ad esso, hanno specifica consistenza flussi paralleli che contemperano le esigenze del principio democratico con la necessità di introdurre nel processo politico elementi di equilibrio, che acquistano funzione di garanzia e di tenuta dell’ordinamento. Ciò conduce legittimamente a configurare il presidente della Repubblica come «quarto potere dello Stato», un potere di influenza, indirizzato in via prevalente ad assicurare il rispetto del metodo democratico. Siffatto potere prefigura un ambito di intervento che non deve mai sovrapporsi a quello degli organi cui compete la responsabilità dell’indirizzo politico. È lecito sostenere che egli ha il compito di controllare l’indirizzo politico di maggioranza per allinearlo alla attuazione dei fini costituzionali.

La crescente incidenza che, indiscutibilmente, ha avuto la figura del Capo dello Stato nella vita politica non è il portato di una volontà di ingerenza o di protagonismo, quanto piuttosto l’inevitabile conseguenza dell’intrinseca debolezza di un sistema politico/parlamentare scosso da fortissime contraddizioni. La funzione di pedagogia civile si è progressivamente spostata in misura massiccia dai luoghi della mediazione e del confronto propri della politica attiva (i partiti) ad un organo monocratico (il presidente della Repubblica) in grado di essere elemento di decantazione dei conflitti e, nello stesso tempo, di sintesi delle forze stabilizzatrici del sistema. Conseguentemente, il potenziamento del ruolo politico del presidente della Repubblica, emerso negli ultimi decenni, non può essere ricondotto, se non in misura marginale, a fattori personali ma va inquadrato nelle oggettive circostanze di contesto politico. Gaetano Gifuni, in base all’esperienza come Segretario generale della presidenza della Repubblica, ha scritto: «Il ruolo esercitato dal presidente della Repubblica, dall’alba della Repubblica ai giorni nostri – nel quadro di imparzialità e di garanzia dell’equilibrio fra i poteri dello Stato, che costituisce la ragion d’essere ed al contempo il limite di ogni suo intervento – si è venuto nel tempo ad accrescere, innanzi alla crisi che ha investito le istituzioni a far data da Tangentopoli».

In occasione delle celebrazioni del settantennio della Costituzione è stato affermato che i presidenti della Repubblica hanno rappresentato un «indispensabile baricentro per il corretto funzionamento del nostro sistema istituzionale», fungendo da «ammortizzatore delle tensioni politiche e riattivatore dei corretti meccanismi costituzionali nei momenti di crisi in un regime parlamentare instabile». Gli smottamenti politici, che hanno attraversato e stanno attraversando in modo sempre più marcato il nostro Paese, rendono imprescindibile la presenza di una figura istituzionale in grado di calmierare le contrapposizioni tra le forze politiche e di porsi come elemento stabilizzatore tra poteri che tendono a far vacillare gli equilibri costituzionalmente fissati dall’ordinamento. Quasi pleonastico aggiungere che in questo quadro, elemento prioritario diventa la capacità dell’inquilino del Colle di esercitare con misura e incisività le prerogative che la Costituzione gli assegna. Su tale solco si è mosso in modo impeccabile il presidente Mattarella, indicando nella stabilità della maggioranza un fattore imprescindibile per la formazione del nuovo esecutivo. Così è avvenuto. Il governo Draghi ha innanzi a sé un compito assai arduo. Nel contempo ha l’occasione – dato il largo consenso – di raggiungere gli obiettivi che si è prefisso.

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