
L'Editoriale
Giovedì 04 Settembre 2025
La foresta pietrificata delle banche sorprende
ITALIA. Operazione (quasi) riuscita. L’Offerta pubblica di scambio (Ops) del Monte dei Paschi di Siena su Mediobanca ha superato la soglia minima, registrando adesioni per il 38,5% del totale. Oggi si riunirà il Cda di Mediobanca per valutare nuovamente la scalata, ma è già segnata una nuova, decisiva tappa del risiko bancario che ha animato settimane di cronache economiche e politiche italiane.
Parliamo di una partita finanziaria che si svolge in apparenza a una distanza siderale dalla vita quotidiana di tanti di noi, eppure qualche riflessione di interesse generale è doverosa. Non foss’altro per gli attori coinvolti nella vicenda.
Il ruolo di Mediobanca
A partire da Mediobanca, istituto di credito fondato a Milano il 10 aprile 1946, con l’idea di introdurre in Italia un inedito per il nostro sistema creditizio: una merchant bank, una banca d’affari. A proposito della sua influenza nella storia recente del Paese, si possono sfogliare le sapienti ricostruzioni del giornalista finanziario Giancarlo Galli: «In Mediobanca saliva il governatore della Banca d’Italia Guido Carli; in Mediobanca si sceglievano i presidenti della Confindustria. S’organizzò, con esiti non fausti, la risposta alla demagogica nazionalizzazione elettrica (1962), mediante la fusione Edison-Montecatini, e l’ascesa di Eugenio Cefis. Quanto agli industriali, fa testo la celeberrima battuta di Gianni Agnelli: “Quel che Cuccia vuole, Dio lo vuole!”». Riorganizzare e sprovincializzare il capitalismo italiano, anche attraverso il controllo delle Generali, sono stati gli «umili» obiettivi che si è sempre posta Mediobanca, i cui vertici, dopo 17 anni nelle mani dell’a.d. Alberto Nagel, con ogni probabilità stanno per essere rivoluzionati.
Esistevano tutte le premesse per una ennesima lunga agonia finanziaria a spese del contribuente. Incredibile dictu, non è andata così. Il Ministero dell’Economia, negli ultimissimi anni, ha potuto infatti ridurre in maniera importante la propria partecipazione nell’istituto senese, recuperando almeno una parte delle risorse pubbliche impiegate nel tempo
Altrettanto sorprendente è che l’attore candidato a «spodestare» Nagel sia Monte dei Paschi di Siena (Mps), una delle banche più antiche del Paese (e del pianeta), ininterrottamente in attività dal 1472. Il Cda di Mps lunedì scorso ha rivisto al rialzo la sua offerta per arrivare alla maggioranza di Mediobanca, ha messo sul piatto 750 milioni di euro, così da convincere un numero crescente di potenziali alleati nella scalata. Cosa ci sia di sorprendente, è presto detto. Nemmeno dieci anni fa, per la precisione nel dicembre 2016, fu deciso che proprio Mps sarebbe stata salvata dal baratro in cui si trovava, spinta da un mix di gestione criticabile e contesto finanziario esterno avverso, addirittura con una nazionalizzazione. Esistevano tutte le premesse per una ennesima lunga agonia finanziaria a spese del contribuente. Incredibile dictu, non è andata così. Il Ministero dell’Economia, negli ultimissimi anni, ha potuto infatti ridurre in maniera importante la propria partecipazione nell’istituto senese, recuperando almeno una parte delle risorse pubbliche impiegate nel tempo. Al punto che oggi Mps è una delle banche più solide del sistema se valutata per la percentuale di capitale ordinario di alta qualità (il parametro Cet1 è al 19,6%, tra i più alti in Europa), ha un capitale in eccesso che ammonta a 2,9 miliardi di euro, si può insomma permettere di investire. Chi ci avrebbe creduto meno di dieci anni fa?
Va pur detto che l’operazione di Mps, portata vanti in tandem con soci importanti dell’attuale Mediobanca come Delfin e Caltagirone, non è esente da criticità. Non è questa la sede per approfondirle, ma molte antenne si sono alzate per esempio - nel nostro Paese e non solo - rispetto a quello che è stato giudicato un eccesso di attivismo da parte dell’attuale Governo in favore di Mps & alleati. Perplessità sono state espresse anche sul fatto che quella in corso sia una operazione industrialmente brillante e non invece un’operazione ponte per la conquista di Generali, una delle partecipazioni di rilievo rimaste a Piazzetta Cuccia. Servirà ancora tempo per valutare e approfondire aspetti simili, tutt’altro che insignificanti, intanto però – grazie alle fusioni bancarie - il valore delle operazioni M&A (merger and acquisition) in Italia è schizzato a 44,6 miliardi di euro nella prima metà del 2025, un incremento del 17% dallo scorso anno e in controtendenza con il meno 2% a livello europeo.
Questo risiko bancario testimonia dunque che, perfino in un’economia piuttosto ingessata come la nostra, storie di riscatto e di ristrutturazione finanziaria sono ancora possibili, così come esiste sempre la speranza di riconquistare centralità e vigore – per una banca come per ogni impresa pubblica o privata – anche dopo aver passato l’ora più buia.
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