La giustizia intercetti
ma la legge è sbagliata

Un ambito nel quale il Pd è sottomesso ai 5 Stelle nell’alleanza di governo è la giustizia. Un campo non indifferente perché è tra i più sensibili, riguardando il perseguimento dei reati ma anche la tutela dello stato di diritto che prevede garanzie pure per chi è indagato o sottoposto a processo, e che definisce più di altri natura e ideali di un partito. Infatti non a caso, quando si trattò di scegliere i nomi della compagine governativa, i grillini, forti della maggioranza parlamentare, indicarono un loro uomo come ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

Dopo tre anni di rinvii, nei giorni scorsi è entrata in vigore la nuova norma sulle intercettazioni, che corregge quella varata nel dicembre 2017 dall’allora ministro Andrea Orlando (adesso vice segretario del Pd), poi sospesa e rivista proprio dall’attuale Guardasigilli. Ma grazie alle novità volute dai 5 Stelle, il senso di quella riforma è stato completamente ribaltato in chiave spregiudicata: se nel 2017 le disposizioni avevano l’obiettivo di tutelare la privacy e la dignità delle persone coinvolte in procedimenti giudiziari e non, limitando la pubblicazione sui quotidiani di intercettazioni penalmente irrilevanti, dopo quasi tre anni la nuova disciplina punta soprattutto a consentire un utilizzo massiccio delle intercettazioni, e in particolare dei «trojan», cioè dei captatori informatici inseriti nei dispositivi elettronici come i cellulari, per effettuare rilevamenti ambientali.

Per i cronisti che pubblicano intercettazioni irrilevanti continueranno ad applicarsi le norme (abbastanza inconsistenti) in vigore. Per quanto riguarda le indagini, sarà il pm a dover vigilare affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o di dati personali sensibili, salvo però che si tratti di «intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini» (e a stabilirlo sarà sempre il pubblico ministero). Il pm sarà anche responsabile della sorveglianza dell’archivio digitale delle intercettazioni, ma non è chiaro se, in caso di violazione della segretezza dell’archivio e di pubblicazione di intercettazioni penalmente irrilevanti, il pm sarà chiamato a risponderne (ad esempio in sede disciplinare al Csm) o se come al solito si farà finta di niente. L’unica cosa certa resta quindi il potenziamento dell’impiego del «trojan». La riforma infatti ne estende l’uso anche nei confronti degli incaricati di pubblico servizio, e quindi non più solo ai pubblici ufficiali, per i reati contro la Pubblica amministrazione. La nuova riforma dà poi via libera alla pratica delle intercettazioni «a strascico», con la possibilità di usare i risultati delle captazioni anche in procedimenti diversi rispetto a quello nel quale l’intercettazione è stata autorizzata.

Le nuove norme di marca grillina danno così ampio potere sulla materia ai pubblici ministeri e riaprono le maglie attraverso le quali le intercettazioni penalmente irrilevanti possono essere diffuse dai media. Non è una questione irrilevante, anzi: persone nemmeno indagate e che non c’entrano nulla con le inchieste vengono date in pasto all’opinione pubblica, con ricadute negative sulla propria reputazione e possibili danni all’attività lavorativa. È successo e tornerà a riaccadere.

L’Italia ha una scarsa cultura giuridica: quante volte capita di sentire, a proposito di cognomi finiti sui giornali a sproposito o di chi è stato solo indagato, «avrà fatto comunque qualcosa». E invece non ha compiuto alcuna azione penalmente condannabile. In discussione non sono le intercettazioni, ma il loro uso e abuso. E in gioco non ci sono solo la privacy e il giudizio su chi viene chiamato in causa senza ragione e si ritrova con una macchia spesso indelebile, ma il grado di civiltà del nostro Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA